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Perché “Ok Computer” dei Radiohead è il miglior album degli anni Novanta

La vigna rossa. Non molti sanno cosa sia, ma se tra voi c’è un appassionato di arte, questo titolo non vi suonerà nuovo. Si tratta infatti di un dipinto olio su tela di Vincent Van Gogh, ma non uno qualsiasi: è infatti l’unico che l’artista sia riuscito a vendere in vita. L’arte è difficile da capire nella contemporaneità, specie se la tua vision è di pura avanguardia. Ok Computer dei Radiohead, che compie venticinque anni, non ha venduto una sola copia, tutt’altro, ma di certo era – ed è assolutamente ancora oggi – un prodotto di lucente avanguardia. Un progetto che si poneva l’obiettivo di spazzare via l’Impero che il suo predecessore (The Bends) aveva costruito, cambiando i paradigmi, la forma, le liriche e tutti gli stilemi con i quali i Radiohead avevano toccato per la prima volta il firmamento con un dito. E allora ecco che, mentre tutti chiedevano un The Bends parte II, Yorke e soci non pensavano ad altro che ad uccidere la depressione paracula di quello che potremmo definire un ottimo disco pop rock, con lo scopo di abbracciare una nuova ricchezza interiore: positiva ed eterea, anziché nichilista e viscerale.

Ne esce un album che spiazza tutti, fatto di stratificazioni e di sperimentazioni fuori dall’ordinario, in cui il baricentro geografico si sposta dal pianeta Terra verso corpi celesti sperduti della galassia. Tutto questo in un momento storico in cui tutti stavano ancora provando a scrivere una lettera all’umanità sulla falsariga di The Bends (Coldplay, Muse). Ok computer è un viaggio incredibilmente coerente che mescola rock, pop, e qualcos’altro che non si riesce bene a decifrare, come d’altronde spesso accade con i grandi dischi. C’è un primo contatto con l’elettronica, ma non c’è nulla di assimilabile alla musica da clubbing, c’è il suono delle chitarre – ora acustiche ora elettroniche e distorte – ma nulla riconduce al rock per come lo avevamo conosciuto prima di quel 21 maggio 1997. E ora non possiamo non fare un excursus attraverso questi classici: da Airbag, che racconta il trauma di Yorke verso le auto (a seguito di un tragico incidente che lo coinvolse anni prima), a Paranoid Android brano superbo ed ineccepibile, malgrado il sottoscritto lo ritenga fin troppo Barocco. C’è poi Subterranean Homesick Alien, che sublima il sound di questo disco. C’è Exit Music (For a Film), ossia il punto più alto del disco e forse della discografia intera della band britannica. Poi Let Down, brano da nove in pagella che avrebbe avuto più risalto e fortuna in praticamente ogni altro disco degli anni Novanta, e Karma Police che è certamente più che ispirata a Sexy Sadie dei Beatles, ma ciò non le toglie quel magnetismo imperante di cui è pregna.

Fitter Happier è un esperimento su cui molte band di elettronica hanno costruito una carriera, mentre Electioneering è una jam di tutto rispetto. Arriva Climbing Up the Walls che a mio modesto parere è il brano più sottovalutato della carriera dei Radiohead: un tripudio di suoni, appoggiati con perizia su una cassa di Liverpool e un rullante dal sound iconico, che raggiungono lo spannung con un assolo distorto a dir poco eccitante. Con No Surprises si vola in orbita, e si gettano le basi di tutta la discografia che verrà di lì in avanti. Lucky, frutto di un esperimento di poche ore tra Nigel Godrich e la band per un disco di beneficenza. «Rappresentava ciò che volevamo fare. È stato il primo segno sul muro», dirà più avanti lo stesso Yorke. Infine The Tourist che chiude in bellezza una poesia sonora della durata di cinquantatré minuti e ventisei secondi. Semplicemente Radiohead. Semplicemente Ok Computer: forse il miglior disco degli anni Novanta. Di certo in top ten.