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Tre anni fa, con il successo di KETY, era riuscito ad ampliare il già consolidato pubblico romano, riuscendo a far arrivare la propria visione della musica trap in ogni angolo della penisola, con pezzi come Scacciacani e Love Bandana ad esemplificare una capacità di arrivare al grande pubblico mantenendo intatta la propria identità quantomeno notevole. D’altronde, la riconoscibilità è sempre stata una delle caratteristiche più evidenti della musica di Ketama126, che torna con Armageddon. Persino in un disco come questo, in cui a livello musicale sembra esserci una volontà di sperimentare con i suoni e di spaziare tra generi musicali senza necessariamente limitarsi alla trap malinconica che gran parte del pubblico è abituata ad associare a lui, la sensazione che pervade l’ascoltatore non appena comincia la traccia d’apertura Intro (vivo per vincere) è inconfondibile, testimoniando, tra le altre cose, il valore in più che hanno gli artisti che, come Kety, gestiscono anche la produzione delle tracce. «La pandemia inizialmente ha bloccato la mia creatività – ammette quando lo incontro negli uffici milanesi della sua casa discografica – ma è stato grazie ai viaggi che ho fatto durante quel periodo se sono riuscito a mettere insieme questo disco».

In particolare, mi parla di due viaggi. Il primo in Kenya, che lo ha esposto a una vita più semplice e al contempo più complessa che lo ha poi portato al concetto su cui si fonda il disco, ovvero l’Apocalisse come dimensione mentale in cui «ogni giorno può essere l’ultimo», raffigurata anche magistralmente da Carlos Sancho, l’artista che ha disegnato la copertina. Il secondo, nella villa ad Ibiza in cui sono state prodotte e registrate nove delle diciassette tracce che compongono il disco, lo ha esposto a sonorità nuove, dandogli gli strumenti più adatti per riversare le tante stratificazioni di tale concetto nella musica. Un pezzo come Coca rosa, in collaborazione con il rapper austriaco RAF Camora, per esempio, vede un Ketama126 in una quasi inedita veste reggaeton, in cui però l’artista riesce sempre a dare il proprio riconoscibile imprint. «Nella musica, vincere vuol dire fare quello che vuoi», dice rispondendo a domanda diretta riferita all’intro del disco Vivo per vincere, e stando a questa definizione, questo disco rappresenta sicuramente una vittoria. Basterebbe anche solo guardare la scelta dei featuring in un’era in cui le collaborazioni tendono a dire tanto delle ambizioni di un disco. Degli italiani, ci sono le collaborazioni con i compagni del collettivo LoveGang (Franco126, Pretty Solero e Drone126) e con altri due artisti romani comunque vicini all’immaginario di Ketama126 come Noyz Narcos e Carl Brave.

Degli internazionali, oltre al già citato RAF Camora, ci sono gli spagnoli Kaydy Chain e Yung Beef, nomi magari non particolarmente conosciuti nel mercato italiano, ma di cui l’artista si definisce «megafan da sempre». «Il successo mi ha tolto la possibilità di fare musica senza dover accontentare le aspettative di nessuno – dice – ma mi ha anche dato un sacco di possibilità in più». E Ketama ha sfruttato queste possibilità per uscire esattamente con il disco con cui voleva uscire, un prodotto che rappresenta alla perfezione il periodo storico in cui è stato prodotto e la maturità raggiunta dall’artista nel periodo di clausura forzata che tutti abbiamo in qualche modo vissuto. «Non so quale sarà il pezzo che avrà più risonanza tra il pubblico, perché ogni pezzo è associato a un mood, a un momento della giornata: non c’è la hit e poi la traccia riempitiva». La forza del disco sta proprio nella sua coerenza e completezza. Si tratta senza dubbio di uno dei progetti urban più interessanti dell’anno e qualunque sia il responso del pubblico, Kety ha già vinto.