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I Kooks ora cantano la loro malinconica felicità in veste sci-fi

È una giornata calda. Gli spazi sono limitati causa isolamento. La stanza che è diventata ormai casa, è, fortunatamente, quella con il giradischi, i vinili e tutti i supporti musicali collezionati dall’adolescenza ad oggi. Attaccate al soffitto, scendono fino ad altezza fianchi, unite da un filo di nylon, foto che immortalano diversi incontri musicali post concerto fatti dai diciannove anni in poi. Alle dieci di mattina, dopo un cappuccino in monouso, mi preparo a collegarmi via Meet, rigorosamente con ventilatore puntato. Dall’altro lato dello schermo, una tazza fumante ed un ambiente accogliente. Luke Pritchard, frontman dei Kooks, mi saluta coi ricci più lunghi di quanto mi ricordassi e un sorriso genuino che non fatica ad essere ricambiato. El Capitano Pritchard trascende il contatto esterno con il mondo, quello che già mi manca da qualche giorno, e va oltre. Luke e la sua band, infatti, nei promo diffusi sui canali social per il nuovo album, 10 Tracks to Echo in the Dark, indossano la tuta spaziale. Dalle scene i Kooks mancavano dal 2018. Nel corso di quest’anno, invece, si sono susseguiti due EP, come piccoli spoiler dei dieci pezzi che compongono l’intero disco.

L’album, anticipato da Connection e Beautiful World ha in copertina un chiaro richiamo allo sci-fi a cui Luke si è avvicinato durante la pandemia. Ed è proprio prima e dopo quel periodo che l’album ha visto la luce. «10 Tracks to Echo in the Dark è un disco concettuale, i testi risentono molto di quel periodo e degli avvenimenti della mia vita. In studio abbiamo avuto un approccio differente rispetto al passato. Ci siamo molto divertiti e personalmente ho imparato tanto». La capitale tedesca ha visto nascere e sviluppare l’intero concept dell’album. «La Germania è un luogo lontano da ogni critica, da ogni pregiudizio. Un posto rilassato e rilassante, pieno di persone interessanti, mentalità aperta e tante storie». Deve esserci davvero qualcosa di magico in quella città. Gli chiedo di più. «Berlino è un posto iconico per isolarsi. Mi ha riportato indietro alle origini della mia scrittura. Le sono grato, mi ha riportato a me stesso». I testi ed il sound di 10 Tracks to Echo in The Dark, figli di un pesante periodo storico, sono incredibilmente pervasi da una contagiosa vena ottimistica. «Con tutti i problemi che ci sono oggi, sarebbe facile buttarsi in testi cupi. Ma credo sia nell’anima dei Kooks portare buonumore, far ballare. Stavolta, però, penso si tratti di una malinconica felicità. Dobbiamo ritenerci fortunati di essere vivi, di sopravvivere e sperimentare tutto ciò che l’universo ci offre. Questo è ciò di cui è fatta la musica. Questo è lo scopo della musica».

Il fiume di entusiasmo di Luke prosegue quando menziono Milky Chance, il duo tedesco che ha preso parte ad una traccia del disco. «Con Milky Chance ci eravamo già incontrati un po’ di volte, abbiamo sempre apprezzato a vicenda la nostra musica. Beautiful World l’ho scritta ispirandomi alle loro vibes e al backbeat che si è rivelato essere molto nelle loro corde. Ad un certo punto, invece di puntare subito alla release, ho pensato: perché non proporre una collaborazione?». Sono passati ben quindici anni da Inside In/Inside Out, disco simbolo degli early Duemila con Naive che è diventata un vero e proprio inno indie. Nel frattempo, di cose ne sono successe, anche nella musica. «I tempi sono cambiati: se prima si provava a fare qualcosa di davvero innovativo, ultimamente c’è questa tendenza di riprendere il sound di un particolare periodo e riproporlo come qualcosa di nuovo». Iniziamo a parlare, con un pizzico di malinconia per i bei tempi andati, dei gruppi usciti fuori durante la golden era dell’indie britannico e non: «Prendi gli Strokes, ma anche i Daft Punk un po’ prima dei Duemila. C’era una scena pazzesca, niente di mai sentito prima». Annuisco e provocatoriamente chiedo se anche lui avesse delle reference agli esordi: «Sicuramente ascoltavo Bob Dylan, Nick Drake, Dire Straits, Police, ma anche Bob Marley e Incubus. È per questo che non abbiamo perso quel set up innovativo, ascoltavamo e ascoltiamo generi completamente diversi. Oggi invece vado più sul jazz».

Intanto in casa Pritchard, Julian, il piccolo di casa, assiste ad una lotta all’ultimo disco tra papà Luke e mamma Ellie Rose, (entrambi coinvolti nel progetto DUO): «Partendo dal presupposto che crescendo capisci che non c’è buona e cattiva musica, è in atto una guerra maschi contro femmine: Ellie gli fa ascoltare Taylor Swift e Lennon Stella, io Bob Dylan e tutta la scena degli anni Sessanta. Al momento sto perdendo». Di fronte a me, in camera, dal soffitto ondeggiano quelle famose foto di incontri post concerto. Una di queste mi ritrae proprio al fianco di Luke. Senza pensarci troppo, decido di prenderla e mostrargliela. Era un caldo agosto del 2009 e i Kooks avevano appena concluso un concerto a Milano. Eravamo entrambi decisamente più giovani. «Cosa diresti a quel Luke?», gli chiedo. «Preoccupati meno e comprati una Ferrari», mi risponde.