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In “EBM” gli Editors di Tom Smith si piegano ma non si spezzano

Viviamo nell’era della replicabilità, dove realizzare un prodotto musicale autentico, totalmente originale, è quasi impossibile. Questo significa che l’originalità non è più un prerequisito fondamentale: non importa, infatti, che le idee siano “rubate” a qualcun altro, è il come vengono utilizzate a fare la differenza. Bruno Munari distingueva infatti tra il concetto di idea e quello meno vincolante di creatività. È importante fare questa premessa, perché gli Editors dal loro debutto diciasette anni fa sono entrati nel mirino di chi li paragonava ad altre band, accusandoli di aver scopiazzato talmente tanto da risultare inutili per il mercato discografico. Questo in parte è vero e non possiamo negare che si tratti di una band principalmente derivativa. Ricordiamo le diverse recensioni contrastanti del loro disco d’esordio, The Back Room, dove il paragone con gli Interpol era diventata per alcuni quasi un’ossessione: già solo la prima traccia del disco, Lights, era un nervoso raggruppamento di band come i Joy Division, gli Smiths e i Cure. Eppure da quel primo ritornello si poteva intuire un certo carattere, qualcosa che tutto sommato funzionava.

Con il tempo il gruppo originario di Stafford ha fatto della creatività il suo punto di forza riuscendo dopo molte imitazioni e trasformazioni a trovare il loro sound, quel tratto distintivo che sì, nasce dall’incontro di più stili, ma che con il tempo è diventato il loro marchio di fabbrica. Chitarre post-punk e sintetizzatori martellanti collaborano con testi introspettivi e cupi, insieme ad un’atmosfera new wave e dark, collaudando un suono estatico e allo stesso tempo disturbante. Ecco perché ad oggi gli Editors possono permettersi di sperimentare a loro volta, di passare da un genere all’altro pur mantenendo un’identità precisa. Questo grazie anche alla continua mutazione dei componenti della band stessa: dall’allontanamento del chitarrista Chris Urbanowicz ai nuovi entrati Justin Lockey, Elliott Williams e Benjamin John Power, in arte Blanck Mass. EBM, il loro nuovo progetto in studio, sta per Electronic Body Music, ma è anche l’acronimo di Editors e Blanck Mass. Entrambi i significati sono validi, perché simboleggiano l’inaugurazione ufficiale della loro nuova era. Un’era che strizza l’occhio all’elettronica e alla musica dance, e che già aveva iniziato a concretizzarsi tre anni fa con il singolo Frankenstein.

Nato dall’idea di una stretta connessione di corpi, di desiderio di avvicinamento, si percepiscono l’agitazione e il senso di panico che caratterizzano l’industrial dance, con i suoi ritmi sincopati e situazioni cupe. La svolta più dance è evidente, ma non si esce mai troppo dai contorni punk-rock, come dimostra Karma Climb, dove un ritmo pulsante ed energico entra con prepotenza in gioco insieme ad atmosfere spettrali. Questo è uno dei pezzi più forti e meglio riusciti del disco insieme a Heart Attack in cui l’intensità elettronica si sposa perfettamente con le sonorità gotiche che da sempre caratterizzano le produzioni della band. Tutto il disco è pervaso da elementi che ricordano i Depeche Mode, confermando così lo status di band derivativa, ma la creatività – che lo ricordiamo, è centrale negli Editors – è stata questa volta messa in campo più del solito. Il che non significa che il risultato sia totalmente positivo: Silence, molto simile ai brani di In Dream, è debole e anonima, come anche Educate. Ma in pezzi come Strawberry Lemonade e Strange Intimacy le sonorità dark tradizionali si allineano perfettamente con l’elettro-dance dimostrando un astuto – e sapiente – utilizzo delle diverse risorse che il gruppo di Tom Smith ha a disposizione.

Poi si arriva a Vibe, pezzo totalmente dance, frutto di una sperimentazione estrema, e a Kiss, di un livello leggermente superiore rispetto alle tre appena citate, ma la vera bomba di questo disco è Picturesque, un brano denso di elettronica, carico di sintetizzatori e nutrito di aggressività post-punk che sono sicura farà tremare la terra durante i concerti. Un buon asso nella manica da giocare all’ultimo, dato che gli altri due pezzi forti erano già usciti come singoli, che contribuisce a dare carattere all’album. Bisogna dirlo, EBM non è il miglior disco degli Editors, ma è un buon prodotto se consideriamo l’evoluzione della band durante gli anni: sanno stare al passo con i tempi, si scompongono e si ricompongono, si trasformano, ma rimangono sempre sé stessi.