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I “Diamanti” di Ginevra, tra Massive Attack e clubbing torinese

Che la scena musicale torinese riparta da Ginevra: il primo approccio alla musica, “Diamanti”, il suo primo album e Sanremo.

Anche se nell’antica Grecia credevano fossero lacrime degli dei, i diamanti non sono altro che semplice carbonio. Semplificando, dal punto di vista strutturale, un diamante non è poi così diverso dalla punta della matita con la quale sto scarabocchiando il Fabriano di fronte a me, in attesa che Ginevra risponda alla mia chiamata. Ciò che rende di enorme valore un diamante, e di prezzo irrisorio una punta di matita, è la sua rarità. Tutto ciò che è raro in natura ha un valore maggiore. Ginevra non è una punta di matita, lei, al massimo è una punta di diamante: perché più ci provo a trovare qualcuno della scena che le somigli, più non riesco a trovarlo. Ma ogni diamante ha uno stato grezzo, in origine, per cui voglio conoscere la sua storia dall’inizio. Perché oggi è fin troppo facile vedere i riflessi caleidoscopici e coloratissimi di Ginevra. Al terzo squillo, risponde. Le chiedo di raccontarmi di questa bambina torinese che un giorno prende in mano uno strumento e scopre di avere delle cose da dire. «La mia vita è stata sempre intrisa di arte. Ero immersa in un contesto molto stimolante. Ad ogni modo, credo che tutto sia iniziato con il ballo. Avevo quattro anni. Questo è stato il mio primo vero contatto con la musica, seppur tangente. Poi nel periodo del Liceo ho iniziato a prendere lezioni di canto e dopo pochissimo ho iniziato a scrivere canzoni. Ti basti pensare che c’era sempre uno strumento nelle vicinanze in casa nostra, perché mio padre è sempre stato un grande appassionato. C’erano chitarre e una tastiera che avevano comprato a mio fratello per fare delle lezioni di pianoforte. Mi sono seduta davanti ai tasti bianchi e neri senza conoscere nulla di teoria e, con i due o tre accordi che avevo provato a costruire, ho iniziato a scrivere i primi pezzi».

Ho sempre pensato che la musica sia composta di tre grandi elementi: una scrittura di valore – e tu ce l’hai – un sound destinato a restare nel tempo, banalmente la presenza di strumenti tradizionali come la chitarra e il pianoforte – e anche qui, direi che ci siamo – e poi una certa dose di sperimentazione, che nel tuo caso è rappresentata dall’elettronica. Quanto consciamente riesci a mixare queste tre cose e quanto invece è istinto?
Sicuramente c’è una componente di istinto forte. È proprio questa forza invisibile che mi ha permesso di riversare i miei sentimenti e i miei pensieri su quella attività. E poi, solo in un secondo momento questo istinto si collega alla tecnica, alla teoria e all’esercizio. Uso questa parola, “esercizio”, perché scrivere è un allenamento continuo, e facendolo da quando sono piccola, mi ha aiutato a creare sempre con maggiore attenzione al dettaglio. Qualcosa di simile è successo anche con il sound: infatti ho sentito da sempre un forte richiamo dell’elettronica che mi ha fornito di fatto la direzione artistica da intraprendere e perseguire. Ci tengo poi a precisare che la fase di ricerca relativa al sound è un processo collettivo che faccio insieme ai membri del mio team. Tutto è partito da un’idea che poi abbiamo affinato via via, attraverso un processo che non è mai giunto al capolinea. Senza di loro sarebbe per me molto più difficile, se non impossibile, sviluppare questo processo di ricerca e sperimentazione. Che poi dedicare tanto tempo ad un’attività, nel mio caso la musica, mi ha permesso di trovare spazio per la ricerca. Oggi ormai dedico tutto il mio tempo alla musica e dunque non ci sono alibi: c’è tempo per fare tutto e nel migliore dei modi.

Quindi quali sono gli artisti che non possono mai mancare all’interno di una playlist di Ginevra e, alla luce di quel che mi dici, anche in quelle dei tuoi collaboratori?
Io credo ci sia un momento che ha costruito il mio bagaglio di influenze in modo più forte di tutti gli altri: ero a Piazza San Carlo a Torino ed ero andata per ascoltare un gruppo di ragazzi torinesi che seguivo all’epoca e che erano gli opening della serata. Quella notte incontrai la musica degli XX e di James Blake, che erano i main act. Un’epifania. Nulla è più stato come prima. Solo successivamente ho iniziato a cercare le origini e le suggestioni sonore da cui questi progetti erano nati: è allora che ho scoperto i Massive Attack, i Portishead, i Boards of Canada e gli Autechre.

Che poi in Oceano la opening track di Diamanti c’è un sample proprio degli Autechre, corretto?
Esatto, è stata una cosa pazzesca. Abbiamo chiesto l’autorizzazione per utilizzare un campionamento di Nine. Poi lo abbiamo riprocessato dentro il vector grain per renderlo ancora più personale.

Mentre ascoltavo Diamanti (il disco) mi sono innamorato di Diamanti (il brano) perché è un piano e voce sporcato di ambient ed elettronica granulare. Tra l’altro questo album ha delle batterie molto particolari: quella che entra a metà di questo brano – la title track – mi ricorda proprio i Massive Attack di Teardrop, con questo snare legnoso di bacchetta, mentre quella del ritornello di Calamite – forse il mio brano preferito assieme a Briciole, di cui parleremo più avanti – mi ha riportato ai Radiohead di Weird Fishes/Arpeggi. Se però dovessi fare un parallelismo con la band di Yorke, credo che l’album d’esordio di Ginevra sia più vicino ad Ok Computer e Kid A piuttosto che a In Rainbows. Ad ogni modo, questa musica a tratti celestiale sembra connessa in qualche modo con la natura, forse per le suggestioni ambient che emergono. E mentre lo realizzo, mi ricordo di un post su Instagram in cui Ginevra si definiva «ragazza di fiume».

Ti va di parlarmi di questo legame – se esiste, ovviamente – tra musica e natura?
È una constatazione giustissima. Basti pensare che il primo singolo estratto da Ruins (il primo EP di Ginevra pubblicato nel 2019 ndr.) si chiama Forest. Quindi l’elemento naturale è sempre stato presente e direi che rappresenta per me il rifugio dalla città, dai rumori della civiltà. Amo invece i suoni della natura tanto da volerli portare avanti, in primo piano, dal sottofondo in cui spesso giacciono. E poi sì, sono in effetti una ragazza di fiume, un po’ anche per la mia geolocalizzazione. E più cresco e più si fortifica questo legame con Torino, ma soprattutto con la natura che le fa da cornice. Pensa che d’estate preferisco il fiume alla montagna e al mare. Dopo questi anni di pandemia, ho percepito ancora più forte il richiamo interiore che mi spinge a ricercare degli angoli di serenità lontano da tutto.

Molti ti conosceranno grazie a Diamanti ma vorrei aggiungere che molti ti conoscono già senza saperlo, infatti sei anche una autrice, e nello specifico Glicine di Noemi l’avete scritta a quattro mani. È difficile per chi ha una scrittura personale come la tua, lavorare al brano di qualcun altro?
Sicuramente lavorare per qualcun altro non è facile perché l’istinto mi porta ovviamente a parlare di me. È comunque un lavoro molto stimolante. Nel caso di Veronica (Noemi ndr.) ho avuto l’opportunità di conoscerla profondamente e questo fa tutta la differenza del mondo. Dentro Glicine c’è una parte di Ginevra ovviamente però la figata di lavorare per qualcun altro è riuscire a mescolare gli elementi e far sì che quella persona si riconosca nelle liriche, quindi sarebbe sbagliato darle tutta Ginevra, perché non è quella persona lì. Ultimamente sto lavorando per molti artisti come autrice e partire dallo scambio e dal rapporto con loro per me è cruciale ed è la cosa che rende unico ogni singolo lavoro.

I tre brani che mi hanno accompagnato all’interno di questo percorso rappresentato dalla tua musica sono sicuramente Rajasthan, che per me è stato realmente un pugno allo stomaco e poi due pezzi di Diamanti: ossia Briciole che ha catturato la mia attenzione fin da subito grazie a quella chitarra storta che introduce e poi accompagna tutto il brano e Calamite, che ha una natura, se vogliamo, anche un po’ più rock rispetto al resto. Mi parli di questo pezzo?
Intanto ti ringrazio per aver citato questi tre brani da cui mi sento totalmente rappresentata. La figata di Calamite è che ha una impronta riconducibile ai Tame Impala, soprattutto le linee di basso. Quando io l’ho abbozzato era un pezzo molto più canonico, mentre quando poi è passato alla produzione è iniziato un lungo processo di costruzione ed evoluzione molto interessante che sfocia in influenze hyperpop nelle melodie del ritornello. Alla fine, comunque, l’abbiamo suonato con tutta la band in presa diretta ed è stato molto suggestivo. La dimensione live di Calamite è talmente forte che da ormai due anni lo spoileriamo nei live. Finalmente ci segniamo la versione in studio di questo pezzo a tutti.

Che poi tu hai già partecipato a Sanremo nella serata delle cover insieme a Cosmo e la Vicario su invito de La Rappresentante di Lista, ma leggevo che sei stata scartata da Sanremo giovani. Credi che la tua musica sia compatibile con Sanremo?
Il destino voleva proprio che quell’anno partecipassi a Sanremo perché l’anno in cui sono stata scartata è lo stesso in cui è stata scelta Glicine di Noemi. In questo momento onestamente non mi vedo proiettata in quella direzione per quanto ovviamente sia un pit stop e forse anche un benchmark per il percorso di tutti gli artisti italiani, specie per chi fa musica pop. Tuttavia non è la mia priorità in questo momento e non mi immagino prettamente in quel contesto. Mi sento un po’ distaccata, diciamo, ma ovviamente non escludo nulla per il mio futuro e resto fuori ad osservare: se qualcuno chiama, io compaio, ma non ho fretta di andarci.