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Cinque cose che abbiamo imparato da “Salmo. San Siro, questo è”

La preparazione che – spoiler – rende uno show perfetto, il rock come cultura, lo storytelling e la cura del dettaglio. Perché c’è un pre-San Siro e un post-San Siro.

Nella mia soffitta, dentro un pesante mobile di ciliegio massello, ci sono sempre stati un sacco di DVD. Ho passato giornate intere a guardarli ammirato – a volte bastavano quelle copertine coloratissime per viaggiare. Ce n’era una però che comunicava moltissimo anche senza colori: quella di American History X. Un uomo rasato e a petto nudo, con una svastica tatuata sul cuore. Quando l’ho guardato la prima volta è stato un pugno allo stomaco, e non ho avuto molto tempo per soffermarmi sul montaggio o sulla tecnica registica. Con i rewatch, però, è stato più facile apprezzare il contrasto tra il pre-redenzione (in bianco e nero) e il post-redenzione (a colori). Ora il DVD è un supporto per dinosauri, ma quando ho iniziato a guardare Salmo. San Siro, questo è, il documentario sulla data evento a San Siro di Salmo – la produzione Sky Original in esclusiva su Sky Arte e in streaming su NOW diretta da Giorgio Testi – la mente è tornata a quel montaggio bifronte. C’è un pre-San Siro e un post-San Siro, questo è il refrain dell’intero prodotto. E l’alternarsi di scene che mettono a confronto il passato e il presente narrativo, rende tutto ancora più suggestivo.

1. Ciò che rende uno show perfetto è la preparazione

Ciò che rende uno show perfetto in ogni sua parte è la preparazione. Essere delle star eclettiche come Salmo non ti permette di allentare la presa o di affidarti in toto all’improvvisazione. Le camere di Sky ci portano dentro le prove e ci fa scoprire che nulla, ma proprio nulla, è lasciato al caso.

2. Il rock è cultura

«Dividetevi. Dividetevi». Salmo ridendo lo dice a due membri del suo staff facendogli segno con le mani di andare ai lati della stanza. In un instante, grazie ad un cut registico/temporale, siamo a San Siro e tutto il parterre si sta letteralmente splittando mentre Salmo, come un esperto Mosè, apre le acque della folla. «Seguire attentamente le avvertenze: il pogo non è una rissa. È un ballo. Se qualcuno cade, lo rialzate». La batteria di Jacopo Volpe incalza: che abbia inizio una festa rock d’altri tempi.

3. Negli show di Salmo c’è una cura del dettaglio

Salmo in un frangente del documentario dice: «L’emozione era così forte che ad un certo punto è subentrato l’automatismo. I movimenti e le parole partono in automatico e la testa va in protezione. Ci sono dei momenti sul palco che non ricordo bene – ho la mente offuscata. Ricordo l’inizio e la parte finale, quando mi sono risvegliato». Prepararsi, costruirsi, non accontentarsi: questo rende uno show di Salmo, un grande show. Perché una volta che si è studiato per mesi, l’esame va liscio nella stragrande maggioranza dei casi. San Siro non fa eccezione. È il mostro finale del gioco di ruolo, il più complicato da sconfiggere. Salmo ha platinato il tempio del calcio (e della musica).

4. I visual sono una forma reale di storytelling

In uno show di Salmo è pressoché impossibile scindere immagini e musica. Tutto comunica nella stessa direzione il medesimo concetto. Solo più forte. Ogni arte, dai VFX alla recitazione di un monologo (chi c’era, sa) mettono il turbo a questo spettacolo multidisciplinare e multisensoriale, pensato per essere goduto al pari di un’esperienza lisergica o sessuale. Un momento collettivo in cui le barriere tra pubblico e musicisti si assottigliano fino ad azzerarsi.

5. Il muro sonoro è ciò che ti fa venire la pelle d’oca

Tutti sanno che Salmo è un Maestro d’orchestra. Durante il suo live chiama la spider-cam, indica ai light designer quando alzare o abbassare le luci e guarda i suoi musicisti tanto spesso quanto il pubblico. Non c’è da sorprendersi quando in alcune scene risalenti alla fase di settaggio dell’impianto da parte dei fonici – Maurizio si sposta per tutto il perimetro della venue chiedendo di alzare un po’ la batteria. Il muro sonoro è ciò che ti fa venire la pelle d’oca oppure no. Al netto dei difetti che uno stadio può mettere sul conto. Il lavoro di squadra sulla correzione del suono con le torri di ritardo e il lavoro in cuffia per l’artista si traducono in un impatto sonoro che è a tutti gli effetti un solenne e continuativo ceffone in faccia ai presenti. Questi i principali motivi per cui non potete morire prima di aver visto uno spettacolo del rapper di Olbia, attualmente in giro nei palazzetti di tutta Italia con il suo Flop Tour che – notizia di questi giorni – proseguirà fino al prossimo marzo.