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“Every Loser” è la risposta di Iggy Pop a chi lo accusa di essere cambiato

Il sound di “Every Loser” non è grezzo come nei dischi degli Stooges, ma il cuore di napalm di Iggy Pop non è mai cambiato.

A volte siamo portati a pensare che le carriere più longeve e già ampiamente significative di certi artisti non possano lasciare molto spazio al tempo presente o ai lavori futuri, ma tutto questo non vale per Iggy Pop: per lui ormai mezzo secolo di vita vissuto sui palchi di tutto il mondo come l’inimitabile Iguana del rock, eppure così tante cose ancora da dire. Negli ultimi anni si è dedicato a diverse sperimentazioni: l’elettronica con gli Underworld nel loro Teatime Dub Encounters, le cover francesi di Beatles, Édith Piaf e Serge Gainsbourg per il suo Après, poi ancora il disco jazz Free, penultimo lavoro della sua carriera, e lo show Iggy Confidential per la BBC Radio, senza tralasciare la collaborazione – accolta con non poche perplessità dai più – coi Måneskin in I Wanna Be Your Slave. Per il suo diciannovesimo disco però ha deciso di tornare alle origini: il sound di Every Loser, curato da Andrew Watt, già produttore per artisti del calibro di Ozzy Osbourne ed Elton John non è grezzo come nei dischi degli Stooges, ma il cuore di napalm del padrino del punk non è mai cambiato.

Lo dimostra la traccia d’apertura, Frenzy, primo singolo estratto. Strung Out Johnny, subito di seguito, riporta direttamente al post-punk degli anni Ottanta: come dopo una iconica Search and Destroy, il suo ritmo più calmo ricorda un po’ Gimme Danger, la prova che Raw Power sia tra i dischi più memorabili per Iggy Pop stesso e per ogni amante del genere. Non mancano le tracce più melodiche e parlate (con la sua perfetta voce radiofonica) come New Atlantis, una lettera d’amore dedicata alla città di Miami che lo ospita da tempo o gli intermezzi The News For Andy e My Animus – continua così il viaggio nella memoria dei suoi dischi passati, il ricordo di lavori come The Idiot e Avenue B è più vivo che mai. Le scelte stilistiche sono simili ma mai banali né superficialmente riciclate. Iggy Pop è semplicemente sé stesso, lo è sempre stato. A lasciare il segno per questo motivo anche Morning Show, dal testo vero e sincero (“Time is like a pill, it opens and reveals”, canta). Probabile però che quella che più attiri l’attenzione sia la canzone di chiusura dell’album, The Regency, una sorta di inno anti-industria (“Feeling murderous toward a journalist… Fuck the regency, fuck the regency up”).

La batteria dirompente di The Regency è affidata al compianto Taylor Hawkins, batterista dei Foo Fighters. Assieme a lui, l’album vanta una serie di collaborazioni con altri nomi noti: da Chad Smith e Josh Klinghoffer dei Red Hot Chili Peppers a Eric Avery e Dave Navarro dei Jane’s Addiction, passando per Travis Barker dei Blink-182 e Duff McKagan dei Guns N’ Roses. “Emotionally I’m a celebrity”: ad ogni modo, come dimostrato in Neo-Punk, Every Loser dimostra non solo che l’Iguana del rock abbia ancora contenuti validi e contemporanei da offrire al pubblico, ma soprattutto che si diverte nel farlo; il disco affronta quotidianità e vulnerabilità di Iggy Pop che, al suo settantaseiesimo anno di vita, continua a cavarsela ottimamente.