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Il concerto di Lazza è la liturgia della Generazione Z

Lazza a Roma è classico, aggressivo ma anche tamarro, in un concerto in cui non c’è posto per i fan occasionali del post Sanremo.

Nella notte che raccorda il 19 ed il 20 aprile, proprio mentre i tifosi dell’Inter esultano sugli spalti della Nord per aver ipotecato un euro-derby che mancava da diciotto anni, dall’altra parte dello stivale, nella Capitale, un milanista verace dà inizio al suo tour nei palazzetti. Lazza, un fenomeno divenuto mainstream (verrebbe da dire nazional popolare) dopo la partecipazione aurea a Sanremo in cui la sua Cenere si è classificata seconda. Ma in realtà – e ci tiene a precisarlo lo stesso Jacopo – questo è l’ultimo live dei fan di vecchia data, sold out da ben prima che si aprisse al più ampio dei pubblici possibili. I sette mila che hanno saltato per due lunghe ore all’interno del palazzetto romano, dunque, è composta dai fan accaniti della scena rap. A testimoniarlo, il calorosissimo dj set di apertura, in cui letteralmente tutti hanno cantato e ballato le grandi hit trap/rap/hip hop degli ultimi dieci anni – tanto che per un attimo ci si tendeva a scordare del fatto che lo show non era ancora iniziato. Doppi tagli aggressivi (e discutibili), tattoo e felpe oversize. A nessuno sfugge una sola barra, tutti sono lì per celebrare la liturgia della generazione Z e – francamente – è bello assistere ad un rito collettivo tanto partecipato e denso di appartenenza.

Il live si apre nell’unico modo possibile: sulle note del Notturno, rigorosamente il cinquantacinquesimo Opus, numero uno di Chopin. Un momento emozionante su cui si poggiano rispettose (?) le barre morbide e nel contempo violente dell’Ouv3rture di Zzala. Nel buio accecante splende solo una enorme luna piena sul palazzetto, che pian piano viene coperta fino al raggiungimento di una eclissi totale: “Serpi alla schiena/Cambiano strada/Qual è il problema? Ti vedo in para”. Lazza chiama, Roma risponde. Forte e chiaro. Si parte. È uno show serrato, in cui solo qualche piccolo problema tecnico riesce a fermare Jacopo. Come titola un film di Lisa Cholodenko o come direbbero i Negrita: i ragazzi stanno bene, e si vede. Il pubblico non si placa un secondo e segue Lazza come una orchestra segue il suo Maestro. E poi c’è quella sul palco di orchestra, composta da una sezione classica ed una rock. «Sono geloso della mia band, mi ruba tutte le attenzioni. Probabilmente licenzierò tutti per le prossime date», ironizza Jacopo che ovviamente invece vuole mettere il focus sul fatto di essere stato – parole sue – il primo rapper a portare una mini orchestra live. Non abbiamo modo di verificarlo, dunque ci fidiamo. Non ci sono grandi pecche nello show di Lazza, seppur – a livello scenico – i visual non sono particolarmente impattanti e soffrono profondamente una intro da dieci in pagella. Poco male, soprattutto quando il led circolare più ampio scende e si muove nello spazio fino quasi a toccare il pavimento dello stage e regalando, grazie a dei fasci di luce, un momento di grande intimità ed eleganza visiva. Il vero plus, ad ogni modo, è l’impianto sonoro: c’è letteralmente un muro di strumenti che si scaglia forte sugli spettatori in modo aggressivo ma controllato, nitido, intellegibile.

Unica piccola considerazione: portare un batterista di un certo livello e mettere i roll di hi hat in base non è molto godurioso se si è fan di un certo tipo di interpretazione dello strumento, soprattutto se si sta portando in scena un genere che di quei roll ha fatto un vero e proprio stilema. Ma questa, lo riconosco, è una fisima che probabilmente non avrà notato nessuno – forse anche giustamente. La notte romana di Lazza prosegue con brani come S!r! e Ho paura di uscire 2. E poi lascia spazio alle ballad arrangiate al piano, in cui tutto il palazzo si tramuta in una costellazione di fotocamere ondeggianti nel buio. Per dirlo con Thom Yorke, everything in its right place, manca sono un ultimo urlo di massa, sincronizzato, assordante. E le premesse non vengono tradite, lo show infatti si chiude ovviamente con Cenere, che è già un classico della discografia dell’artista milanese. Poi l’immancabile coro «se non metti l’ultimo noi non ce ne andiamo», e allora il saluto arriva sulla cassa dritta di Ferrari Remix. Brano che esordisce con una domanda, a cui noi vogliamo rispondere: “Can I be honest?”, posso essere onesto? Il live di Lazza è una vera figata. E chiunque dovrebbe prendere in considerazione l’idea di partecipare ad un momento tanto iconico.