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Non puoi ignorare i Bnkr44

I Bnkr44 sanno come raccontare la propria condizione e, di riflesso, quelle della loro generazione. «Quello che facciamo puoi amarlo come odiarlo, ma sicuramente non puoi ignorarci», dicono.

Chiunque ami il cinema d’autore non può non amare Strade perdute di David Lynch: un capolavoro di apparenti incoerenze ed inspiegabili piani temporali. Ebbene, seppur ovviamente molto più colorato, Fuoristrada dei Bnkr44 è un viaggio simile, senza punti di riferimento e – apparentemente – senza una meta. Nel caso di Lynch è necessario scomodare un elemento escheriano come il nastro di Möbius per comprendere l’intreccio narrativo, mentre per comprendere i Bnkr44, basta poggiarsi le cuffie sulle orecchie e lasciarsi guidare attraverso una metamorfosi che tocca molti scenari nuovi ed inesplorati del gruppo, ma che mantiene una certa identità. Uno dei marchi di fabbrica che infatti non destabilizzerà i fan di vecchia data è senz’altro l’appropriazione magistrale delle linee melodiche più contemporanee (quelle di thasup e Blanco, per intenderci) che hanno una funzione non solo estetica ma anche profondamente volta ad internazionalizzare il prodotto. Se non ci soffermassimo sulle liriche, o se ascoltassimo distrattamente i brani contenuti in questo sorprendente album, si potrebbe quasi credere sia stato partorito da una band anglofona. Ma fare un processo di ascolto di tale superficialità sarebbe un grosso errore, perché da sempre oltre la forma, i Bnkr44 sfoggiano una certa capacità di raccontare la propria condizione e, di riflesso, quelle della loro generazione.

Non siamo di fronte a De Andrè o Battiato, ovviamente, ma la visceralità sanguigna e senza compromessi delle loro penne è di una genuinità impossibile da ignorare, anche per gli ascoltatori più scettici. Ma dunque: cosa c’è di nuovo nel disco? Sicuramente un sound più elaborato e ricco, ma mai massimalista o barocco. La parola chiave di questo progetto è “sorpresa”. «Quello che facciamo è astratto, imprevedibile e inafferrabile. Puoi amarlo come odiarlo, ma sicuramente non puoi ignorarci, perché siamo qua per fare casino, per divertirci, per esprimerci ma soprattutto per cambiare qualcosa, e se qualcuno si aspetta che saremo noi a cambiare, si sbaglia», dicono. Rispetto al passato c’è poi logicamente, tra le altre cose, una maturità acquisita ed una conseguente consapevolezza inequivocabile. Una combinazione, dunque, di suoni ed emozioni in grado di coniugare in modo definitivo le diverse anime della band; dal rock al pop più colorato, passando per quella vocazione soft rap che in qualche modo contagia ogni ragazzo della loro generazione. «Sicuramente tra i nuovi ascolti comuni dell’ultimo anno, che poi hanno generato Fuoristrada ci sono tutti quegli artisti inglesi ed americani che tendono a fondere chitarre ed elementi elettronici, Jean Dawson, Junior Varsity e King Krule». E senz’altro ciò che accumuna questi progetti musicali tanto intriganti è il connubio tra istinto e tecnica: «Ho sempre preferito non sapere, perché solo quando non conosci sei davvero libero», mi dice Piccolo, artista a trecentosessanta gradi, con la vocazione per l’arte figurativa, oltre che musicale.

«Certo, lo studio è fondamentale per raggiungere un risultato professionale e di qualità, ma la verità è che io sono un autodidatta e la mia ignoranza e le mie esperienze mi hanno portato più lontano dei calcoli. Fortuna vuole che siamo un gruppo e abbiamo tutti impostazioni diverse. Possiamo dire che una metà di noi predilige la nozione e l’altra l’istinto, l’incontro di questi due mondi crea qualcosa di davvero potente». I passaggi – o, per meglio dire, le tappe – più intriganti sono senz’altro Cambiare non posso, in cui emerge la vena più pop rock, ma anche Per non sentire la noia, un’esperienza emotiva in cassa dritta che esplora la fragilità delle relazioni e l’impatto che hanno sulla nostra vita. La punta di diamante, tuttavia, nonché miglior Bignami possibile di Fuoristrada è Scritto per te con Sick Luke e Swan, un brano che esordisce grunge e si evolve in una ballata dal sound più pop. Le chitarre iniziali, dicevamo, dal feel nirvaniano – con l’immancabile mix di chorus e flanger proprio della cifra stilistica della band di Cobain – trasportano in un ecosistema sonoro suggestivo che, seppur come detto non di certo innovativo, risulta interessante e svela in modo definitivo la voglia dei Bnkr44 di riportare alla ribalta un certo tipo di attitudine. «Sicuramente la quota rock del gruppo è rappresentata da Caph, Fares e Piccolo, che sono quelli per natura ed influenze più vicini a quel mondo fatto di chitarre e bassi elettrici».

Per un disco simile sfociare nel cliché sarebbe molto facile, ma sorprendentemente non si ha mai la sensazione di ascoltare qualcosa di plasticoso. Merito di una coesione da parte dei membri che – al netto di esperimenti solisti, peraltro interessanti – pare essere la vera formula segreta di questo disco. «Non è banale saper fare un passo indietro, ma mettere da parte il proprio ego è alla base di un gruppo sano che si rispetta e che funziona. Sapere di avere a disposizione solo una strofa o un solo ritornello per esprimere un concetto è molto stressante ma anche stimolante perché sai di dover dare tutto in quei trenta secondi». C’è alchimia, dunque. C’è desiderio, c’è ossessione. In definitiva: c’è voglia di vomitare ogni sentimento e di raccontare il mondo interiore. Ciò che sortisce, a mo’ di effetto boomerang (in questo caso, credo, più che gradito dagli stessi artisti) è una risultante inaspettata: quel piccolo strano universo, è possibile che incroci le vite degli altri, in questo incrocio, appunto, da affrontare con un fuoristrada.