dark mode light mode Search Menu
Search

LoveGang126 è un classico per le strade 

Nessuno racconta Roma meglio di Franco126, Ketama126, Ugo Borghetti, Asp126, Pretty Solero, Drone126 e Nino Brown: «È un mondo di mezzo dove l’alto e il basso si mischiano»

“Mio fratello ha il mio stesso sangue/Abbiamo pianto dagli stessi occhi”. In questa barra, che Franco126 canta con l’incisività che lo contraddistingue nella title track del primo disco della LoveGang126 (che domani saliranno sul palco di Encore Festival), si racchiude tutta l’essenza di quelli che ormai sono gli esponenti principali della scena urban. Un collettivo che ha fatto delle affinità umane e dell’esperienza comune ultradecennale dei membri che lo compongono un tratto distintivo. Nonostante ognuno di loro persegua il proprio percorso artistico individuale, la volontà di dare alle decine di collaborazioni sentite nei dischi solisti di ognuno la continuità più concreta di un progetto ufficiale comune non è mai stata nascosta. Il risultato finale, Cristi e Diavoli, è la perfetta sintesi delle disparate personalità dei sette artisti romani, radunati per rendere un omaggio tanto sentito quanto efficace a quella città, Roma, che da anni fa da sfondo alle loro vite.

Lo è nei contenuti, autentici spaccati di vita quotidiana perfettamente riconducibili ai vicoli della città capitolina. Lo è nella scelta dei featuring, tutti esponenti della scena musicale romana, presente, passata e anche futura. Lo è nelle influenze musicali, che dal cantautorato romano di califfiana caratura prendono rispettosamente spunto. Lo è, infine, nella dialettica di ognuno dei suoi preziosi esponenti: la malinconica eleganza di Franco126, la durezza di Ugo Borghetti, l’ironia di Asp126, la cupezza di Ketama126, la passionalità di Pretty Solero, le sonorità street campionate da Drone126 e Nino Brown, un’estetica generale che, proprio come Roma, si mostra imperfetta ma irrimediabilmente bella.

Nell’immaginario comune il fenomeno delle rap crew è spesso associato non solo a un ambiente prettamente underground ma anche a una proposta poco impegnata, fatta per lo più per gioco. Cristi e Diavoli indica invece tutt’altro.
Infatti il termine crew non ci appartiene molto, per quanto ci possa definire bene, noi preferiamo definirci come una famiglia.

Un disco poco in linea con i tempi che corrono. Contenutisticamente – l’amore, il senso di comunità e le esperienze di vita preferite all’autocelebrazione e all’individualismo della trap – ma anche, se non soprattutto, musicalmente – un suono classico, a tratti sporco, ricco di campionamenti stravolti ma anche di passaggi suonati.
Abbiamo voluto mantenere un suono classico perché era un po’ il minimo comune denominatore. Tutti quanti negli anni abbiamo preso strade differenti esplorando sound diversi, però siamo tutti partiti dal rap classico; quindi, nel rap degli anni Novanta abbiamo trovato terreno comune. I temi che affrontiamo sono sempre i soliti: tendenzialmente noi evitiamo l’autocelebrazione come tema, preferiamo parlare delle nostre vite e del nostro modo di stare al mondo e della vita del nostro quartiere. In Cristi e Diavoli abbiamo accentuato questo aspetto e quindi il nostro vivere la vita in una maniera collettiva.

LoveGang126, foto di Beatrice Chima

Le tante sfaccettature che vi identificano emergono efficacemente dal video di Cristi e Diavoli, brano truce che, nel ricordo della Roma dei Novanta, apre e dà il nome all’intero disco. In realtà il discorso è più ampio e riguarda la particolarissima estetica che da sempre circonda i vostri progetti, perfettamente coerente con il contesto e la cultura in cui siete cresciuti: dalle copertine dei singoli e poi del disco, dai graffiti che avete portato avanti in tutta Italia al merchandising, fino appunto ai video, super urban.
Il nostro modo di fare musica è molto coerente rispetto al contesto e alla cultura con cui siamo cresciuti. Nel disco abbiamo portato avanti questo discorso dei graffiti e del video street che sono cose particolarmente presenti nelle caratteristiche di questo genere.

Quali sono i dischi con cui siete cresciuti, la musica che vi ascoltavate da ragazzini?
Sicuramente siamo cresciuti con il rap di New York, che ci ha molto influenzato, e con il Truce Klan, quindi ti diciamo The Awakening di Lord Finesse, In The Panchine, Verano Zombie, La calda notte.

Che impatto credete abbia avuto il disco in questi primi quattro mesi di vita?
Siamo molto contenti delle reazioni che stiamo ricevendo, abbiamo l’impressione che sia arrivato alla gente ma soprattutto che sia stato capito l’intento che c’era dietro a tutto il lavoro svolto.

Poi c’è Roma che si conferma centrale sia nel vostro immaginario sia nei riferimenti nel disco: è una città dove secondo voi convivono cristi e diavoli?
Si, Roma è una città in cui convivono vari spiriti ed è per questo che si chiama Cristi e Diavoli – spiriti benigni e spiriti maligni. Un mondo di mezzo dove l’alto e il basso si mischiano e dove la bellezza dei monumenti, delle chiese e del passato glorioso si mischia al disagio urbano e alle realtà più disparate. Anche per questo motivo abbiamo voluto dare questo nome al disco.

A proposito di Roma, che rapporto avete con la tradizione cantautorale romana?
Abbiamo tutti quanti dei rapporti abbastanza diversi, nel bene e nel male, chi più chi meno, ne siamo stati tutti influenzati.

Gli stessi featuring vanno nella direzione di un prodotto rap romano a tutti gli effetti. Attraverso le collaborazioni avete portato tante generazioni e sfaccettature dalla scena romana degli ultimi decenni, rispetto alla quale spesso voi siete stati la novità. Adesso che la generazione successiva alla vostra si sta facendo spazio, che ne pensate della direzione che si sta prendendo?
Nel disco abbiamo voluto fare un riassunto della musica romana che più ci piaceva, voleva essere un disco di rap romano, per questo abbiamo messo soltanto artisti romani, quello il focus. Roma è sempre stata una piazza difficile, dalla quale emergono tanti talenti ma dalla quale rimane molto impegnativo emergere. Ad ora, ci sono alcuni pischelli che sono bravi, però è da un po’ che non vediamo la realtà di un collettivo che ci convince veramente.

Franco126, foto di Beatrice Chima

“Mio fratello ha il mio stesso sangue/Abbiamo pianto dagli stessi occhi”. Vi conoscete da tanto ed è da tanto che collaborate in ambito musicale nonostante ognuno di voi abbia perseguito il proprio percorso individuale. Quando fate un pezzo insieme, in cosa siete migliorati e in cosa, invece, siete peggiorati.
Sicuramente quando si va avanti facendo questo lavoro si perde un po’ di spontaneità, però in realtà in questo disco la parte spontanea è stata preservata, diciamo che siamo migliorati molto tecnicamente.

Fra i pezzi più intimi del disco, nonché suggestiva chiusura dello stesso, c’è Tinta unita, raccontatemi come è nata.
Franco126
: Tinta unita nasce da un provino che abbiamo fatto io e Drone nel 2019. É un pezzo molto vecchio ed era rimasto nel cassetto perché non riuscivamo a trovare una quadra per il ritornello, che all’inizio era un altro. Ci sembrava di aver detto tutto ciò che dovevamo dire, non capivamo chi potesse salire sulla seconda strofa; a un certo punto ci è venuta l’illuminazione di metterci Danno e il ritornello è venuto da sé. Diciamo che, evidentemente, i tempi erano maturi. Ci sono voluti quattro anni ma siamo contenti di come è riuscito, in quanto crediamo che sia uno dei pezzi più identitari che piace molto sia a me che a Drone

“Il mio destino è unito a doppio filo con quello di ogni mio amico vero e non serve un motivo” cantate nel ritornello di Doppio filo, fra i tanti manifesti identitari del disco. Cosa vi ha unito, e continua a tenervi uniti così tanto, a livello umano ma anche artistico?
Ci conosciamo da così tanto tempo e abbiamo passato insieme così tanti momenti e pezzi di vita che è diventato difficile immaginare una modalità di essere nella quale non siamo in qualche modo insieme, tutto quello che facciamo ci unisce.