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Stabber corre veloce

Stabber voleva fare un disco che sbandasse intorno ai generi, ma voleva che a sbandare fossero anche gli ospiti che salivano con lui sulla macchina, e con “Trueno” c’è riuscito

Rendere un producer album credibile non è scontato. Coordinare gli stili di tanti artisti spesso molto diversi tra di loro mantenendo coesione è per pochi, e con il suo primo disco, Stabber dimostra ampiamente di essere tra questi. Una serie di produzioni imprevedibili, ricche di spunti musicali riconducibili a generi diversi e tanti artisti provenienti da sfere musicali e generazioni differenti ma che per l’occasione si adattano alla perfezione alla visione proposta da Stabber contribuiscono a rendere Trueno uno dei prodotti più interessanti di questi primi mesi dell’anno. «Sapevo di aver fatto un bel lavoro, ma sinceramente non immaginavo di ricevere questo abbraccio», mi racconta connesso dal suo studio. Nel corso della chiacchierata, mi dà la sensazione che lo studio sia la sua dimensione più naturale. Dal trasporto con cui mi parla della genesi del disco, del lavoro che ha fatto sul sound, del modo in cui ha coordinato, perfezionato e plasmato ogni singolo dettaglio percepisco un amore per la musica in ogni suo aspetto che non è così scontato. «Il titolo si ricollega a un’auto giapponese degli anni Ottanta, nota per essere piccola ma molto potente e quindi prediletta dai drifer. Volevo fare un disco che sbandasse intorno ai generi tradizionali e volevo che sbandassero anche quelli che salivano con me sulla macchina».

A livello prettamente musicale, mi racconta di come lavorare su un progetto suo piuttosto che su un progetto di altri gli abbia permesso di togliersi qualche sfizio. «Se non faccio il pavone nel mio disco quando lo faccio?», dice ridendo. «Ci ho messo tutti gli orpelli estetici che volevo. Volevo fosse tutto perfetto e tutto come volevo io. È stato un approccio per certi versi spericolato, perché andavo dagli artisti con un’idea specifica senza offrire alternative». Un lavoro lungo, in cui nulla è stato lasciato al caso: ogni suono è stato prodotto da strumenti analogici. «Volevo lavorare con gli strumenti, così ho accumulato diversi sintetizzatori e mi sono messo a “spippolare” con le macchine, senza guardare il computer. Lavorando così ti rendi conto che spesso è lo strumento che ti traina e decide quello che fai e non il contrario. Questo disco è un concerto tra me e gli strumenti». Oltre alle produzioni ci sono ovviamente gli ospiti, tutti in forma smagliante. «Tutte le strumentali le ho scritte pensando a chi avrei voluto vederci sopra. Sapevo che avrei coinvolto molti miei amici, che per mia fortuna sono spesso personaggi in voga nella musica», dice. «Le persone che ho coinvolto le conosco bene, quindi sapevo cosa potesse o meno piacergli anche su cose matte».

Il risultato è un insieme di combinazioni di artisti sulla carta assolutamente spericolate ma che nella realtà funzionano alla perfezione, da Noemi e Nitro in Black & Blue al trio composto da Johnny Marsiglia, Alborosie e J Lord in Legends Never Die. Uno dei punti più alti è raggiunto da Piove forte con Gemitaiz, Yung Snapp e un’immensa Angelina Mango. «Per un po’ ho avuto il pezzo con Gemitaiz e Yung Snapp senza sapere a chi far fare il ritornello, poi ho pensato ad Angelina. È venuta in studio e ha scritto il ritornello in poco tempo. Poi sull’ultima parte strumentale, su cui pensavo di farle fare dei vocalizzi, ha voluto scrivere quella strofa incredibile e in poco tempo l’abbiamo chiusa. Lei è un fenomeno». C’è poi uno straordinario Danno, che con Dj Craim è ospite della traccia d’apertura Il profumo delle rose e che esordisce con la frase “E all’improvviso è buio in sala”, preparando in qualche modo l’ascoltatore all’atmosfera di tutto il disco. «Quello è il pezzo a cui sono più legato emotivamente. Ho detto a Danno di scrivermi una delle sue cose iper-deep che mi fanno venire voglia o di piangere o di ammazzarmi. L’ha fatto e l’ha registrata una sola volta dall’inizio alla fine su una strumentale emotiva, senza struttura ritmica. Era il modo giusto per cominciare il disco».

C’è anche Gaia che sulla folle produzione cucita da Stabber in canta in portoghese un testo dal notevole valore sociale. «Un giorno eravamo e pranzo e abbiamo chiacchierato su tanti punti su cui in teoria ci saremmo dovuti scontrare ma su cui in realtà ci siamo ritrovati d’accordo. Dopo siamo andati in studio ed è uscito un pezzo che ricalcava un po’ i temi di cui avevamo discusso. Quando l’ho sentito ne ho subito percepito il potenziale. Gaia ha un’aura internazionale: secondo me può tranquillamente spaccare anche all’estero». Insomma, Trueno è probabilmente uno dei producer album che negli ultimi anni è meglio riuscito a incarnare ciò che un producer album dovrebbe essere, non un’accozzaglia di canzoni che hanno in comune l’avere lo stesso producer, ma un progetto completo che mette al centro la produzione e spinge gli artisti ospiti a mettersi in gioco. Intrigherebbe molto una trasposizione live: «A me piacerebbe molto e ho anche qualche idea, ma ci sono difficoltà logistiche. Nel frattempo troverò una dimensione light che posso portare in giro da solo, ma mi piacerebbe trovare una serata unica in cui vengono tutti».