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«Ho solo voglia di scrivere canzoni eterne», così ci eravamo lasciati l’ultima volta che lo avevamo incontrato. Gazzelle è tornato con un album generazionale che si chiama Punk, cita Kurt Cobain (“Tu sapevi un po’ di punk/Di fissa coi Nirvana/Di metropolitana/A mezzanotte e mezzo/Un’occhiata dentro casa/Un bacio senza pausa/Sapeva di Long Island”, canta nella title track) ma ricorda molto il britpop esploso negli anni novanta in Inghilterra. Sono stati dunque molto variegati gli ascolti di Flavio: «Ho ascoltato i Radiohead, i Coldplay e gli Oasis in tutto questo tempo che ho avuto a disposizione per scrivere l’album. E proprio la tranquillità è l’elemento che mi ha permesso di lavorare bene», il risultato è un prodotto di altissimo livello, che accantona l’elettronica – linguaggio preponderante nei pezzi di Superbattito – in favore di un prodotto più suonato che porta in scena strumenti come il piano, gli archi e la chitarra: «Questo non è un divorzio da quel mondo, ma solo una pausa. Amo molto l’elettronica e non escludo che magari il prossimo album possa richiamare quei suoni».

In Punk è evidente la virata verso temi più universali ma anche quella verso suoni più eterni, d’altronde il suo approccio con la scrittura è cambiato: «Non solo la scrittura, è cambiata anche la mia consapevolezza artistica». Il disco è una capsula della memoria; dentro c’è tutto il Gazzelle degli ultimi due anni. C’è la gavetta nei club e gli oltre cento concerti in giro per l’Italia dello scorso anno (“E guardati dentro la tasca/È vuota ma c’è ancora la voglia di farcela/Di buttare in aria ogni malinconia/Sperando che ritorni indietro sotto forma/Di fantasia”, recita il primo verso di Coprimi le spalle, uno dei pezzi più riusciti dell’intero lavoro): «Tutto quello che mi succede è importante per la mia scrittura. I cento concerti del Superbattito Tour sono stati la mia gavetta».

Tutto è iniziato al Monk nel marzo di due anni fa. Da allora la cosa è andata avanti parecchio: i due brani cantanti sul palco del Primo Maggio, i concerti all’Atlantico e al Fabrique fino all’annuncio degli show al Mediolanum Forum di Milano e al Palalottomatica di Roma del prossimo anno. Due live immensi nei palazzetti che hanno ospitato in passato tutti i suoi idoli: «Negli ultimi due anni è cambiato tutto nella mia vita», mi dice Flavio con l’aria di chi ce l’ha fatta. «A Milano e Roma cercherò di buttare tutto sull’emozione come ho sempre fatto. Voglio cercare di fare un live intimo come se fossi di fronte a cento persone». La tournée proseguira poi in tutta Italia, lì sarà tutto più rock & roll, un ritorno alle origini.

Gazzelle, foto di Young Goats

Ok i palasport ma non parlategli del Festival di Sanremo al quale parteciperebbe solamente in veste di ospite («Ma non credo che per il momento mi invitino»). Gazzelle odia la competizione ma soprattutto non crede che il pubblico dell’Ariston possa capire la sua musica, per questo (per il momento) il no alla kermesse diretta da Claudio Baglioni è categorico: «Non mi piace l’idea di gareggiare con la musica. In passato c’è andato uno dei miei idoli di sempre, Vasco Rossi, ma erano altri tempi, sono sicuro che oggi non ci andrebbe».

E anche se i numeri parlano chiaro, Flavio continua ad approcciarsi con la stessa umiltà di quel 3 marzo in cui tutto iniziato e a cui tutto torna (in quella data tornerà ad esibirsi a Roma ma questa volta al Palalottomatica). E in un panorama in cui si affronta il mondo con spavalderia, Rolex al polso e tatuaggi in faccia, lui ha ancora il coraggio di «cantare al buio e ad occhi chiusi» il suo punk interiore.

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