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Mötley Crüe: brutti, sporchi e cattivi

Nell’anno dei biopic (prima Bohemian Rhapsody poi Rocketman) Netflix non poteva farsi sfuggire l’occasione di raccontare attraverso una pellicola il rock spietato degli anni ottanta e l’ha fatto con The Dirt, la storia impietosa del successo e degli eccessi di quattro disadattati che dalle strade di Hollywood raggiungono le vette della fama internazionale, i Mötley Crüe.

Con The Dirt Jeff Tremaine (sì, quello di Jackass) ha voluto raccontare senza filtri la storia della band heavy metal più scorretta della storia, concentrandosi sul periodo più travagliato del gruppo, quello che ha seguito l’uscita di Girls, Girls, Girls (1987). Dentro c’è tutto: l’infanzia difficile di Nikki Sixx (interpretato da Douglas Booth) a Seattle, l’incontro dei quattro a Los Angeles, il primo contratto discografico con l’Elektra Records, il tour con Ozzy Osbourne, il sesso, la droga (tanta droga), il rock & roll e ovviamente l’overdose quasi fatale di Sixx raccontata in diretta dai telegiornali di mezzo mondo. La stessa storia che ha ispirato Neil Stauss a scrive, ormai vent’anni fa, The dirt. Mötley Crüe. Confessioni della band più oltraggiosa del rock, libro che è servito come materiale di partenza per il film.

Dopo un fallito tentativo di connettersi con il padre biologico, Frank cambia legalmente il suo nome in Nikki Sixx nel 1980. Un anno dopo, dopo aver litigato con i membri del concerto di Londra al Whiskey a Go Go, Nikki fa amicizia con il batterista Tommy Lee con cui fonderà poi la band. Unirsi alla band è il chitarrista Mick Mars, che soffre di spondilite anchilosante. Il trio quindi recluta il cantante principale Vince Neil e dopo un po’ di brainstorming, il quartetto si chiama Mötley Crüe.

Immagine tratta da Mötley CrüeThe Dirt

Il primo concerto di Mötley Crüe è un successo e progressivamente si esauriscono in tutti i night club di Los Angeles fino a quando il produttore Tom Zutaut di Elektra Records li segue con un contratto di cinque album e firmano Doc McGhee come loro manager. In poco tempo, gli album della band diventano platino e ognuno spende milioni di dollari in droghe alla stessa velocità con cui li guadagna.

Il film di Jeff Tremaine dà più valore agli extravagance (come direbbero gli inglesi) che alle dinamiche e agli eventi che hanno portato la band americana nell’Olimpo del rock, come se non ci fosse altro − oltre i festini a base di coca e prostitute − da raccontare. E forse è proprio questo il vero e unico problema del lavoro di Tremaine. Insomma, The Dirt è un biopic difficile da inquadrare ma ancor più da dimenticare.