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L’egoistico regalo di compleanno di Morrissey

Per un breve periodo in Italia, come certamente ricorderete, era tornato di moda definire (spesso impropriamente) gli artisti con un certo stile musicale e approccio, come indie, elisione di indipendente. Ebbene, una delle band che ha contribuito a portare sotto i riflettori il mondo alternative o, appunto, indie, negli anni ottanta, è sicuramente stata quella di Morrissey, gli Smiths. Il loro groove, l’influenza post punk, l’hype indistinto ed incondizionato che imperava in quel decennio, hanno consacrato questa band come una delle più incidenti e rilevanti della loro epoca.

Cosa è successo agli Smiths lo sappiamo tutti e sappiamo anche che da quelle ceneri è nato poi il progetto solista del frontman. Mai riconosciuto come il più vivace e vitale tra gli artisti, Morrissey si è spesso distinto per le sue dichiarazioni e per il suo approccio alla musica un po’ noioso. Neanche tra i colleghi spiccava per simpatia: impossibile non citare l’epica performance dei Nirvana ad MTV in cui Cobain cantò Smells Like Teen Spirit in chiave baritonale, imitando lo stesso Morrissey, per protestare contro la politica del playback dei musicisti imposta dall’emittente. Ma sicuramente, come accennato sopra, ciò che rende questo artista oggetto di critiche e attacchi, è sicuramente la serie di sproloqui che negli anni lo hanno visto protagonista. Non è questa la sede per andarli a sviscerare, ma se fate una veloce googlata, potreste farvi due risate.

Questo cappello introduttivo per contestualizzare il nuovo lavoro di mr. Steven Patrick, consegnato al grande pubblico solo due giorni dopo il suo cinquantesimo compleanno. Un album di cover che sicuramente, per sua stessa ammissione, risulta essere un regalo a se stesso ed un tributo, nel contempo, ai brani e agli artisti che più hanno segnato la carriera di Morrissey e forgiato il suo inconfondibile mood. L’impressione tuttavia è che questo cadeau sia un po’ un gesto egoistico, soprattutto se risulta il più noioso tra i lavori noiosi di Morrissey. Un brano di Bob Dylan, uno di Dionne Warwick, ma neanche un accenno agli Smiths, specie nell’attitudine e nel calibro che erano stati i cavalli di battaglia della band di Manchester. Un album che tuttavia, a onor del vero, si propone di sperimentare (a tratti riuscendoci), specie col sound, senza tuttavia giustificare la piattezza e scialbatura che pervade l’intera tracklist.