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“Western Stars”, ovvero l’immortalità di Bruce Springsteen

Riuscire a rinnovarsi con successo dopo quarant’anni di carriera trascorsi come icona grezza del rock e del country è simbolo di una maturità artistica che raramente abbiamo visto nella musica dell’ultimo secolo; eppure, quello che Bruce Springsteen attua nel suo diciannovesimo disco è un esperimento ampiamente riuscito, in cui l’artista dimostra di non avere paura di esplorare percorsi artistici inediti e sperimentare a livello sonoro, lirico e vocale. Il risultato finale è uno dei suoi progetti più riusciti di sempre, in cui la voce che era un tempo stata simbolo di energia e rabbia diventa portatrice di saggezza e leggerezza; in cui la rudezza delle chitarre elettriche e delle batterie che avevano caratterizzato la sua musica negli anni lascia spazio all’atmosfera di archi e chitarre acustiche, ma in cui l’impatto del messaggio è indelebile e sofisticato come sempre.

In uscita cinque anni dopo High Hopes, Western Stars rappresenta per Springsteen un ritorno a delle origini che non erano mai state esplorate prima nella sua discografia. Prendendo ispirazione dai dischi pop della California del Sud degli anni sessanta, Bruce riesce allo stesso tempo a trovare una direzione artistica che non aveva mai preso prima e a riportare nel mercato discografico un tipo di sound caratteristico di un’epoca e di un genere che quasi non esistono più, un pop grezzo ma allo stesso tempo sofisticato e melodico. La sempre riconoscibile voce del veteran rocker, fa viaggiare l’ascoltatore dai deserti alle immense autostrade della sconfinata America che fa da sfondo alla narrazione, raccontando storie di gente comune, dall’attore della title track, che aveva collaborato con John Wayne prima di finire a recitare per pubblicità, fino al fallito suonatore country di Somewhere North of Nashville.

Il disco è stato anticipato dai tre singoli: Hello Sunshine, l’emozionante There Goes My Miracle, in cui Springsteen assume il punto di vista di un amante che osserva il suo amore sfuggirgli via di mano e Tucson Train, accompagnato da un video in bianco e nero diretto da Thom Zimny. Tutte e tredici le tracce sono state scritte dallo stesso Bruce Springsteen e perlopiù registrate nello studio presente nella sua casa nel New Jersey. Alla produzione ha partecipato Ron Aniello, il quale ha suonato il basso e le tastiere per tutte le tracce, e Patti Scialfa, che ha contribuito agli arrangiamenti vocali di quattro di queste. Per gli arrangiamenti musicali, sono stati coinvolti diversi musicisti per gli archi, i fiati e i pedal steel che fanno da sfondo sonoro alla voce di Springsteen, tra cui Jon Brion, David Sancious, Charlie Giordano e Soozie Tyrell.

Definito uno scrigno ricco di gioielli dallo stesso Springsteen, ci sarà molta curiosità nello scoprire se il cambiamento dimostrato da Boss in questo nuovo progetto sarà definitivo o se sarà nuovamente capace di rinnovarsi e sperimentare in futuro. Ciò che è certo è che il Bruce è riuscito a costruire uno dei dischi migliori della sua carriera con coraggio e esperienza, e che Western Stars, oltre che essere ben pensato e ben eseguito, riesce a consolidare quell’immortalità che Bruce Springsteen ha già meritatamente conquistato nel mondo della musica negli ultimi decenni.