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Marracash non è più un cazzone, ma il king del rap

La spasmodica attesa che circondava il ritorno sulla scena di Marracash ha pochi termini di paragone nella storia recente della musica nostrana. Sarà che la sua caratteristica penna, capace di spaziare facilmente dal cinismo alla fragilità e dalla collettività all’individuo, rimane, negli anni, una delle più efficaci e coinvolgenti che ci siano; sarà che la cura meticolosa associabile a ogni progetto che ha intrapreso si è sempre tradotta in musica di alta qualità; sarà che sono passati quasi cinque anni dall’ultimo album da solista (Status) e più di tre da Santeria in collaborazione con Gué Pequeno. E un artista si può permettere di essere assente per così tanto tempo dalla scena solo quando è sicuro che al suo ritorno l’attesa del suo pubblico sarà pienamente ripagata.

Persona si preannuncia essere un progetto ambizioso e personale già dal primo trailer («Non è la prima volta che li vedete insieme – dice Marra in quel video – Ma è la prima volta che Marra e Fabio si parlano e l’unica in cui sarò io a raccontarli»). Titolo e copertina fungono da citazione a Persona, film del 1966 di Ingmar Bergman, ambizioso prodotto sulla delicata tematica dello scambio di personalità e la perdita di identità. Seguono il graduale annuncio dei nove featuring, che spaziano dai soliti Gué Pequeno e Luché a tre giovanissime promesse come Massimo Pericolo, Madame e Tha Supreme, passando per i già affermati Sfera Ebbasta, Coez, Cosmo e Mahmood.

Con queste premesse, era lecito aspettarsi un capolavoro, uno di quei dischi che ha le carte in regola per dominare le classifiche per molti mesi, ma Persona ha la possibilità di passare alla storia come qualcosa di più di un disco di successo, conquistandosi un’accezione visionaria pressoché inedita nella musica popolare di questo secolo. Il disco è un’esplorazione dell’individuo a livello anatomico che diventa studio delle tante sfaccettature dell’animo umano e conseguentemente affresco della società presente e futura. Ogni traccia è associata a un elemento del corpo umano, fisico o spirituale e a ciascun tale elemento è associata un’emozione, un pensiero, un valore, un’opinione che è pretesto per l’argomento che la canzone va a toccare.

Il risultato è che Marracash e i vari featuring hanno modo di toccare molti degli elementi su cui, secondo loro, la società odierna è costruita: politica (“Il sonno della ragione vota Lega” canta in Quelli che non pensano) fede (“Fa’ del palco la mia chiesa / Dei testi il mio testamento”), beni materiali (“2020, Gucci è il Dio più pregato”), disillusione (“Un giorno tutto questo niente sarà tuo”), sentimento (“So che spesso mi incazzo / Però chi si incazza alla fine ci tiene”) disuguaglianza sociale (“Quest’estinzione eclatante / Andrà un po’ come le altre / I ricchi andranno su Marte […] / I medi andranno in guerra a difendere ciò che hanno / Ai poveri non cambierebbe più di tanto”). Così facendo, il progetto riesce a risultare estremamente personale ma perfettamente inserito nel contesto in cui è prodotto.

Da un punto di vista musicale, Marracash si muove dal rap tagliente di pezzi come Body Parts e Sport all’accezione più melodica di tracce come Appartengo, dimostrando una grandissima maturità artistica anche nell’ambito sonoro. Dei featuring, spiccano senza dubbio Massimo Pericolo, con una delle strofe più adulte della sua breve carriera, e Madame, che a soli diciassette anni si dimostra più che all’altezza di interpretare l’anima di Marracash in maniera commovente in Madame, uno dei pezzi più riusciti del disco.

Persona è un disco a cui abbandonarsi, da ascoltare in apnea tutto di seguito (non casuale la scelta di non pubblicare singoli prima dell’uscita), lasciando che ogni traccia ti lasci qualcosa, che sia commozione in seguito a tracce più vulnerabili come Appartengo e Bravi a cadere, rabbia in seguito al rancore espresso in Poco di buono, ilarità dopo una traccia più ironica come Non sono Marra o il tagliente esercizio di stile Sport, amarezza dopo la disillusione espressa in Greta Thunberg, la traccia conclusiva. Il progetto riesce a essere sofisticato senza essere pretenzioso, fragile senza diventare patetico, spensierato senza risultare banale, polemico ma non eccessivo, coeso ma mai monotono. Insomma, Marracash non è più il cazzone di un tempo ma il king del rap che rischia di aver prodotto il miglior disco dell’anno.