dark mode light mode Search Menu
Search

“Homegrown” è un viaggio dentro il giovane Neil Young

Pubblicando l’album Homegrown, Neil Young compie un’operazione simile a quella che aveva già compiuto nel 2017 con Hitchhiker, ovvero rendere pubblico un progetto completamente inedito concepito, registrato e prodotto nel corso di quegli anni ’70 in cui il flusso creativo dell’artista canadese sembrava essere assolutamente inesauribile. Tuttavia, mentre Hitchhiker – registrato nel 1976 – non venne pubblicato perché secondo la Reprise Records, l’etichetta discografica con cui lavorava Neil Young all’epoca, non costituiva un album vero e proprio ma un insieme di demo e quindi non era adatto a essere pubblicato come album, le motivazioni che comportarono la cancellazione dell’uscita di Homegrown furono molto più inerenti all’intimità e all’individualità dell’artista.

Le dodici tracce che costituiscono il progetto, infatti, vennero registrate tra il dicembre 1974 e il gennaio 1975, in seguito alla turbolenta fine di una lunga relazione che Neil Young ebbe con l’attrice Carrie Snodgress, la quale aveva ispirato diversi degli album precedenti in quegli anni. Per via del deterioramento di questa relazione e della precaria stabilità emotiva di Neil Young, Homegrown assunse un taglio molto personale e malinconico che l’artista – all’epoca neanche trentenne – preferì tenere per sé, scegliendo invece di pubblicare il desolante e emozionante Tonight’s the Night registrato nel 1973.

Homegrown si presenta al pubblico rispettando le premesse e le aspettative di chi conosce il contesto della sua concezione ed è al corrente delle ragioni per cui non venne pubblicato nel 1975. È infatti un progetto estremamente personale e intimo, con una componente di malinconia che è possibile rintracciare sia nei testi che nelle melodie e che riesce a rendere l’ascoltatore partecipe alle emozioni che Young tenta di comunicare. La sua carismatica voce, unita a un’energia emotiva giovanile che oggi, ovviamente, non si può più permettere, riesce a rendere il prodotto riconoscibile ed estremamente apprezzabile.

È interessante notare come, nonostante sia un’opera risalente a 45 anni fa, le tematiche affrontate, ovvero solitudine, malinconia, abbandono, riescano a essere universalmente comprensibili anche al pubblico di oggi e pezzi struggenti come Separate Ways, Love is a Rose e Star of Bethelem riusciranno a essere sempre attuali e non perderanno mai credibilità. Persino la parte strumentale, seppure per ovvie ragioni anacronistica rispetto ai canoni a cui siamo abituati oggi, riesce a essere apprezzabile con i suoi miscugli di chitarre, sia acustiche che elettriche, pianoforti e qualche memorabile assolo di fisarmonica (in Separate Ways e in We Don’t Smoke It No More).

Al di là dell’indubbia qualità musicale del progetto, le considerazioni che l’ascolto di un progetto come Homegrown può provocare in un ascoltatore hanno a che vedere con l’enorme spessore artistico di Neil Young a livello più generale: non è da tutti potersi permettere di non pubblicare per 45 anni un progetto come questo senza che la carriera ne risenta. Vuol dire avere una capacità di fare musica a un ritmo paranormale senza perdere qualità e senza mai dover interrompere il flusso creativo.

L’anno scorso Neil Young, insieme all’annuncio di Homegrown, ha parlato di 29 progetti mai pubblicati che si trovano al momento nel suo archivio. Non si sa di che natura siano, ma è probabile che se e quando sceglierà di renderli pubblici, si inizierà a parlare del cantautore di Toronto come di un artista ancora più grande e musicalmente immortale di quanto non sia già agli occhi del pubblico.