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Carl Brave ha riportato lo stornello nel mainstream

Se mi dicessero di fare un elenco di brani della nostra cultura musicale che senz’altro andrebbero ascoltati prima di lasciare questo tempo e questo spazio, metterei certamente Se telefonando di Mina, Ghigo De Chiara, Maurizio Costanzo ed Ennio Morricone. Non solo per la grandezza di un testo che riesce con dolcezza a raccontare un addio struggente, oppure per l’interpretazione magistrale di Mina. Lo farei innanzitutto per la grandezza musicale di Morricone, che per il riff portante, che poi guida la linea melodica della voce, prese il motivo della sirena della polizia di Marsiglia. C’è un brano in Coraggio, il nuovo album di Carlo Coraggio, appunto (per gli amici, anzi, per i non amici: Carl Brave) che si chiama Le guardie e fa qualcosa di simile nel ritornello.

Al netto del fatto che ciò è leggermente meno innovativo, 54 anni dopo, quel che rende questo album un buon album, ma nulla di nuovo, è la perfetta applicazione della formula “Brave”, che funziona e funzionerà sempre ma che non porta niente di nuovo. Carlo, per 17 brani, torna a scrivere di ciò che vede, dipingendo col linguaggio dei giovani, il mondo alla superficie (e a tratti superficiale) di Roma. Un cliché fatto di cliché, dunque. Un meta-cliché potremmo dire. E allora ecco che spuntano Tinder, Marisol, i Direct Message e tanto altro. Il tutto infarcito di suoni acustici di chitarra e percussioni, ora etniche ora trap, così da lasciare che la musica esca pura e contemporanea nello stesso momento.

È forse proprio il sound che rende Coraggio una sorta di live session, un racconto urbano che riesce a portare lo stornello nel mainstream. E, a proposito di mainstream, ormai è evidente che Carl Brave non abbia remore in merito al coinvolgimento nei featuring di figure pop o comunque meno underground, perché se da una parte troviamo una rappresentanza di Lovegang (Ketama126 e Pretty Solero), dall’altra spiccano Guè, Elodie, Taxi B e i due rappresentanti della famiglia Sattei, tha Supreme e Mara (“E siamo soli a parte il cane/A parte il quadro, quello orrendo, di tua madre/La camicia sa di fumo, di catrame/Siamo attaccati ma mi manchi come il pane”, canta Brave).

Insomma, Coraggio è l’ennesimo esperimento riuscito di coniugare rap e cantautorato romano, ma in questa formula il risultato tra i due addendi è un elemento inaspettato che si chiama pop. A chi dirà che questo album è a tratti molto piatto, risponderei che sì, è esattamente così, ma a chi dirà che si tratta di un ennesimo fan service risponderei: è sempre giusto abbandonare la retta via per imboccare una strada incerta? D’altronde molti artisti assai più rilevanti hanno deciso di rimanere nel proprio mondo; da Bob Dylan ai Cigarette After Sex, passando per gli AC/DC.

Diceva Pablo Picasso: «A quattro anni dipingevo come Raffaello, però ci ho messo tutta una vita per imparare a dipingere come un bambino». Forse Carlo ha trovato il suo cubismo, il suo modo di raggiungere la vetta, costruendo un’immagine mettendo insieme cinquanta tessere di un puzzle da milioni di pezzi. E se il risultato sembra possa non bastare, è evidente che per il pubblico non è affatto così. E il pubblico, nel pop, ha sempre e comunque ragione.