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Abbiamo chiesto a Renato Zero chi vede come suo erede

«Quello tuo è un rosso preraffaellita, lo sapevi?», mi domanda Renato Zero, riferendosi al mio colore di capelli. «Il rosso preraffaellita è bellissimo perché non riguarda solo un’epoca pittorica ma anche un canone di bellezza». La mia giornata potrebbe concludersi qua se non fosse che quando a parlare è lui poi le cose da riportare sono molte e pregne di significato. Il re del glam rock italiano è ormai un settantenne saggio con ancora quella voglia incontrollabile di sparigliare le carte, come del resto rivendica in uno dei brani (Troppi cantanti pochi contanti) contenuti in Zerosettanta – Volume Due, il secondo capitolo della trilogia che Zero ha inaugurato a partire dal giorno del suo settantesimo compleanno. «Quella canzone la vedo più come una carezza che uno schiaffo – dice – è un’esortazione a fermarsi a riflettere sulla scelta di fare l’artista. La sovrappopolazione di artisti non è incoraggiante. Lo sarebbe se il pensiero di far parte di questa categoria fosse supportato anche dalla convinzione che effettivamente si hanno le carte in regola per salire su un palco. Tanto lo sappiamo che il discografico vuole far correre tutti e venti i suoi cavalli perché la somma dei venti cavalli gli fa il fatturato, non gli frega nulla se il ragazzo rimane deluso e nella vita si porterà dietro questo fardello di non essere stato all’altezza». Poi si sbilancia e nomina Ultimo e Diodato come possibili suoi eredi artistici: «Spero comunque che in tanti raccolgano la mia eredità, come anche quella di Battiato e De André. A fronte di questo mi piacerebbe che le radio italiane la smettessero di passare perlopiù musica americana e inglese, mettono a rischio la nostra identità musicale».

Zerosettanta è un’analisi del nostro tempo: si parla d’amore, di nostalgia, ma anche di impegno sociale; 14 pezzi che sono dei manifesti destinati a rimanere. Vergognatevi voi, ad esempio, è un grido di allarme e denuncia, necessario per risvegliare e scuotere le coscienze collettive dal potente veleno che contamina la vita pubblica e la convivenza civile. «La società italiana era già multiforme prima dei problemi che abbiamo oggi dice Renato parlando del brano scritto con Phil Palmer – I politici italiani hanno fatto di tutta l’erba un fascio e non sono andati a scavare a fondo sulle specificità, anche territoriali. Ci sono posizioni distanti e spesso questa distanza l’ha creta la politica. Anche sugli aiuti dati negli scorsi mesi io credo che il sud sia stato lasciato al buio». Il suo è uno sguardo disincantato e nostalgico, soprattutto quando parla della scomparsa dei negozi di quartiere, punto fondamentale fino a qualche anno fa per l’economia del Paese: «Davano serenità e occupazione. Ora invece si celebra la grande distribuzione delle multinazionali che guadagnano qui e spendono a casa loro. Sappiamo benissimo che non ci hanno portato benessere». Da questo alla situazione attuale in cui si trovano migliaia di artisti, il passo è breve. «La protesta degli artisti è stata silenziata da un giorno all’altro – dice – Noi non facciamo canzonette. Grazie alle penne di Puccini o Boito abbiamo sempre esportato il nostro genio con grande soddisfazione. Anche la musica leggera lo ha fatto: la musica napoletana, per esempio, è apprezzatissima nel mondo. Dobbiamo riappropriaci del nostro Paese».

Non è chiaro se la società attuale sia stata in grado di assorbile i cambiamenti per cui Renato negli anni Settanta ha lottato. Il testo di In manette l’astinenza dà l’assist: «Avendo io subito sulla mia pelle un certo tipo di frustrazioni, di aggressività della società e della vita stessa. In questo momento è complicato osservare e capire da che parte sia la ragione ed il torto, la buona fede ed il riscatto. C’è una grande confusione. Oggi dobbiamo introdurre un altro tipo di atteggiamento, altre risorse di fronte a quello che ci viene mostrato. C’è tanto su cui riflettere. Io partirei dalla scuola, dall’educazione civica, cercando d’imprimere alle generazioni future questa coscienza. Da loro dipende la serenità del pianeta e la sua durata. Dobbiamo fare i conti anche con una consumazione estremamente aggressiva del nostro pianeta. Quando si scioglie un ghiacciaio non è mai colpa del ghiacciaio. Noi ce la stiamo mettendo tutta pe mantenere una posizione critica e questo ci serve non solo per esercitare un diritto ma anche per tentare di sovvertire un po’ certe non regole». Insomma, Zerosettanta – Volume Due è 50% coscienza e 50% critica anche se, andando più a fondo, si percepisce che tutti i brani hanno una parte che Renato definisce “curativa”. «Quando i brani sono efficaci e raggiungono l’anima e vediamo la lacrima o la gioia, abbiamo raggiunto lo scopo. Io ho fatto molto sorridere con “i triangoli” e fatto molto pensare con I giardini che nessuno sa. Sono stato equo».