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Tutti gli album dei Kasabian dal peggiore al migliore

6. For Crying Out Loud

Ultimo lavoro in studio ed ultima testimonianza del sodalizio PizzornoMeighan. Addio all’elettronica, spazio a chitarre e canzonette. Un disco confezionato ad hoc da Sergio&co come a voler preannunciare la chiusura definitiva di un capitolo durato 13 anni. Sembra quasi che dietro i tre anni di stop dal precedente album non ci sia stato l’entusiasmo necessario per una sperimentazione, né ci sia traccia di un divertimento reale da parte della band. Ci si immagina Sergio impegnato a scavare tra i cassetti impolverati del repertorio, alla ricerca di quei brani che fino ad allora non hanno trovato la giusta collocazione. For Crying Out Loud è un urlo che non arriva, privo di anima, un divertimento fake da canzonette riempitive, date in pasto al grande pubblico radiofonico. You’re In Love With a Psycho l’abbiamo sentita tutti in macchina nel traffico. Ci ha fatto alzare le spalle e dire “ok, i Kasabian sono finiti”.

5. 48:13 

Una serie di numeri sbattuti in cover su sfondo rosa fluo. D’impatto, come i 48 minuti e 13 secondi di puro electro-rock. Sergio e Tom si accomodano, godendosi la struttura ben solida che si sono costruiti in anni di studio e live che spettinano. Procedono con spavalderia, consapevoli del successo e non gli si dà torto del tutto. Il loro penultimo lavoro è un concerto: il breve intro di Shiva li vede salire sul palco per poi esplodere con Bumblebee, proseguendo con brani che smuovono anche i più bacchettoni, vedi Doomsday. Un alternarsi tra marce rallentate ed energia. Al 43esimo minuto il live finisce, i Kasabian salutano e ringraziano. Il palco è vuoto, parte S.P.S con le luci del palazzetto che pian piano si riaccendono. La band sa di aver fatto, anche stavolta, un buon lavoro,  con la critica dalla loro parte, che non urla certo al capolavoro ma appoggia di buon grado e noi facciamo lo stesso. «Everyone’s on Google, now we’re being watched by Google», dirà Tom con una certa fierezza.

4. Velociraptor!

Il punto esclamativo della title track è una dichiarazione entusiasta di grande impresa musicale. I Kasabian hanno un’identità ben precisa, la portano avanti e stavolta la arricchiscono di dettagli barocchi, lanciando sguardi di intesa ai set cinematografici stile spaghetti western, strizzando l’occhio ai 60s beatlesiani, grati delle influenze degli esordi, quelli che portano dritti ai 90’s dei Primal Scream. Sergio punta in alto, pronto ad incassare critiche per alcune scelte azzardate, ma non serve molto a capire che il successo non l’ha cambiato, che la sperimentazione non ha denaturalizzato la vera essenza della band. Rimangono pur sempre i Kasabian che si divertono e fanno divertire.

3. Empire

Cosa c’è di più arduo del non deludere le aspettative? Uscire con un primo disco, farsi conoscere e raccogliere consensi rappresenta sì un ottimo inizio, ma anche un peso. Il secondo disco è sempre una bella responsabilità, una conferma o una delusione. O la va o la spacca. I Kasabian lo sanno bene e per l’occasione hanno accettato la dichiarazione di guerra lanciata dal mondo discografico, avanzando al fronte come dei soldati audaci e valorosi. Empire, la title track sembra voler scandire la fiera marcia verso il successo, la conferma dell’hype dell’esordio, in una successione di pezzi coinvolgenti, una serie variopinta di sonorità alla Madchester, cori, riff, meno electro, più rock strumentale. I Kasabian corrono, ma provate a fermarli. La guerra è ormai vinta, per la seconda volta, anche più della prima.

2. Kasabian

Premere il tasto play a questo disco non vi farà tornare indietro nel tempo, al lontano 2004, anno d’esordio di una band sconosciuta di Leicester. Quando premerete play sarete coi piedi ben piantati per terra all’anno 2021 perché ciò che sentirete non ha tempo, non invecchia e non passa di moda. Kasabian è l’album d’esordio per eccellenza, quello che ti sconvolge perché è innovativo, incredibilmente potente, sconvolgente. 13 pezzi che ti spettinano, ti impediscono di rimanere fermo, non ti danno tregua e lasci che facciano di te quello che vogliono. Tom e Sergio sono il duo indissolubile di cui la musica aveva bisogno. Sfrontati e temerari, non hanno paura della concorrenza perché non conoscono minacce, sanno il fatto loro e la determinazione la senti forte e chiara da Club Foot a Processed Beat. 53 minuti e 13 secondi in cui chiunque diventa il frontman sfacciato ed invincibile di una band inglese.

1. West Ryder Pauper Lunatic Asylum

Dalla prima all’ultima canzone, senza skip. Un disco capolavoro, dalle altissime ambizioni e postproduzione. Un viaggio onirico, dove il sogno è chiaro, messo a fuoco e trasposto musicalmente in 12 pezzi. Nessun riempitivo. Riff, cori, tastiere e psichedelia. Un mix di sonorità perfettamente emulsionate in un trip nebbioso; presenze inquietanti che ammaliano, ti fanno muovere e ti incollano le cuffie alle orecchie. I Kasabian sono pur sempre “lost souls forever” ma qui hanno puntato in alto e ci sono arrivati.