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Tutti gli album dei Muse dal peggiore al migliore

Concept (forse troppo) ambiziosi, indie rock e inni generazionali: ad oltre vent’anni dall’uscita di “Origin of Symmetry”, il meglio e il peggio della discografia dei Muse

Era il 1992 quando a Devon, in Inghilterra, tre ragazzi provenienti da due band differenti si conoscono e decidono di collaborare ad un nuovo progetto. Due anni dopo, i tre partecipano ad una competizione tra gruppi scolastici, presentandosi sul palco truccati come i Cure e distruggendo gli strumenti alla fine dell’esibizione. I tre, che prendono il nome di Matthew Bellamy, Dominic Howard e Chris Wolstenholme, la vincono quella gara, non avendo però ancora la consapevolezza che da lì a qualche anno avrebbero cambiato la storia della musica sotto il nome di Muse. La band più eclettica, alternativa e poliedrica degli anni Duemila, album dopo album ha sempre regalato delle vere e proprie opere d’arte, ognuna diversa dall’altra, surfando tra generi diversi con una maestria e un’eleganza uniche. Dai palchi di provincia agli stadi di tutto il mondo, i Muse hanno avuto il grande merito di portare il rock alternativo nelle radio e in tv, proponendo tematiche anche complesse, come il senso della vita, la scienza, ma anche la politica e la guerra.

9. Simulation Theory

L’ottavo e ultimo lavoro dei Muse è probabilmente quello più debole dell’intera discografia. Partendo dal presupposto che nessun loro album sia davvero “brutto”, il problema di Simulation Theory è che siamo di fronte ad un lavoro un po’ anonimo e sottotono. Dopo anni di sperimentazione aggressiva, Bellamy e compagni volevano proporre qualcosa di più soft, con sonorità tipiche degli anni Ottanta, con tematiche attuali del mondo digitale come la realtà aumentata, ma il risultato fu abbastanza confuso.

8. Will of the People

Se è vero che nulla si crea o distrugge ma che tutto si trasforma, in continua evoluzione, possiamo affermare che i Muse, dopo tentativi di sperimentazione e di ricerca di nuovi suoni, con Will of the People abbiano scelto di tornare a qualcosa di più suggestivo all’interno dell’alt-rock, che forse più compiace i gusti del proprio pubblico.

7. The 2nd Law

Quando nel 2012 i Muse pubblicarono The 2nd Law, fu chiaro a tutti che la band era davanti ad un momento di svolta rispetto ai grandi album del passato. The 2nd Law è un bel disco, che ha al suo interno tanti spunti e tanti generi diversi. Il suo problema è però quello di essere poco a fuoco: abbiamo la dubstep di Skrillex in Unsustainable e Isolated System, l’elettro-funk di Panic Station, il rock sinfonico in Supremacy e Survival e l’elettronica pura di Madness e Follow Me. Tante cose bellissime singolarmente, ma che insieme faticano a coesistere.

6. Drones

Drones è probabilmente l’album più divisorio della carriera dei Muse. Dopo anni di sperimentazioni elettroniche, sinfoniche ed orchestrali, la band sorprende tutti con un lavoro hard rock, volendo tornare a proporre canzoni composte da chitarra, basso e batteria. Molti fan vedono Drones come un passo indietro, ma la realtà è che siamo di fronte ad un concept album super focalizzato sul tema della disumanizzazione dell’uomo nei confronti dei una società sempre più standardizzata e passiva. Menzioni d’onore per i brani Aftermath e The Globalist, della durata di ben dieci minuti.

5. Showbiz

Il primo album in studio dei Muse è datato 1999 e prende il nome di Showbiz. Il disco contiene tracce dei precedenti EP come Cave, Muscle Museum e Unintended, ma anche nuovi pezzi tra cui Sunburn. Come spesso accade per il lavoro d’esordio di una band, il rischio è sempre quello di trovarsi di fronte a qualcosa di acerbo e citazionista. Showbiz, prodotto da John Leckie, già produttore di The Bends dei Radiohead, ha in effetti tanti punti in comune con lo stile della band di Thom Yorke, ma allo stesso tempo mette le basi per i successivi album, proponendo elementi tipici come il timbro di Bellamy e la tematizzazione nella scrittura.

4. The Resistance

Come abbiamo precedentemente detto, l’ecletticità è sicuramente una delle armi a favore dei Muse, e The Resistance del 2009 ne è la perfetta dimostrazione. Siamo di fronte anche qui ad un concept album, che però si propone come un’operetta sinfonica che ingloba rock alternativo, progressive e musica classica. Uprising, Resistance e Undisclosed Desires sono pezzi da novanta nell’intera discografia dei Muse, ma non possiamo dimenticare brani come Unnatural Selection o le tre parti che compongono Exogenesis. È il disco che più li avvicina allo stile dei tanto amati Queen di Innuendo.

3. Black Holes and Revelations

Nel 2006, dopo aver raggiunto un grande successo grazie ai tre precedenti album, i Muse decidono di voler diventare la rock band più famosa e apprezzata al mondo. Ed è così che nasce Black Holes and Revelations, primo album dalle sonorità più pop e meno alternative della band, mantenendo però sempre uno stile unico. Undici brani che sono praticamente tutti singoli, tra i quali ricordiamo Starlight, un pezzo super radiofonico che fa impazzire le folle, Supermassive Black Hole, un rock adatto a tutti, tanto da finire anche in Twilight e Knights of Cydonia, un epica cavalcata che ricorda gli spaghetti western di Sergio Leone e Ennio Morricone. Un album che porta i Muse negli stadi più grandi del mondo e li consacra come numeri uno indiscussi.

2. Absolution

Prima di Black Holes e del successo mondiale di vendite, i Muse cementano il loro stile unico con due album di una bellezza spaventosa. Absolution del 2003 è un concept album basato sulla fine del mondo, che contiene al suo interno un’eccelsa maturità di scrittura, trattando tematiche come la religione, la teologia e la scienza. È un disco cupo, arrabbiato e frenetico, grazie soprattutto ai riff di chitarra di Bellamy e alle linee di basso di Wolstenholme, tra le quali spicca sicuramente Hysteria. Time Is Running Out è un inno generazionale, Stockholm Syndrome fa impazzire i fan ai concerti e la bellissima Butterflies & Hurricanes introduce quell’amore per la musica sinfonica che ritroveremo in tutti i lavori successivi.

1. Origin of Symmetry

In cima a questa classifica troviamo il secondo album della band, Origin of Symmetry. Spesso si abusa del termine capolavoro, ma in questo caso non possiamo astenerci dall’utilizzarlo. Questo lavoro è la sintesi perfetta di tutta la poetica musicale dei Muse: arrangiamenti straordinari che tendono a delle vere e proprie suite, sperimentazione totale in ogni aspetto musicale e testuale e il timbro di Bellamy che si perfeziona e diventa un vero e proprio marchio di fabbrica. New Born, Bliss e Plug In Baby le conosciamo tutti, ma non possiamo dimenticare brani folli come Space Dementia o Megalomania, arrivando poi alla Bohemian Rhapsody dei Muse, ovvero Citizen Erased, l’opera che più incarna tutto lo stile e la storia di questa incredibile band.