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La crisi di mezza età dei Kings of Leon

In “Can We Please Have Fun”, i Kings of Leon si chiedono (non solo metaforicamente) se si stiano realmente divertendo. L’album non è male, ma preferiremmo che si divertissero senza chiederselo

Kings of Leon tornano sulle scene dopo tre anni di assenza con Can We Please Have Fun, aggiungendo il nono tassello discografico alla loro carriera pluriennale. Li avevamo lasciati nella piena introspezione di When You See Yourself, lungo la tanto cupa quanto matura scia di Walls. Li ritroviamo oggi, i Followill, barcamenandosi tra il rock degli esordi, gli inni da stadio, le aspettative mainstream e le perplessità dei primi seguaci, portando sulle spalle il peso di ben otto dischi e ventuno anni di carriera sul groppone. Difficile, anzi, impossibile ignorarne il carico e le conseguenti implicazioni. Can We Please Have Fun è un tentativo (vano o meno lo definiremo solo col tempo) di sversare il ritrovato estro giovanile nella maturità raggiunta.

44 minuti e 55 secondi di cortese richiesta di divertimento: un modo per scrollarsi di dosso la mezza età e dimostrare a se stessi che, se non i quattro capelloni di Youth and Young Manhood, i Kings of Leon sono ancora (almeno in parte) quelli dei timidi affacci al pop-rock da arena del 2008. Can We Please Have Fun, registrato a Nashville dietro le egregie direttive del noto produttore Kid Harpoon (Harry StylesMiley CyrusFlorence and The Machine) si apre con Ballerina Radio: “All my wildest fantasies are here” esordisce Caleb preparandoci, tra synth ed echi brit, ad una tracklist variegata, per poi lasciarsi dondolare sulla linea di basso delle sweet vibrations evocate in Rainbow Ball. I Followill si chiedono se si stiano realmente divertendo: lo fanno letteralmente in Nowhere to Runcon un rock morbido ed un groove ondeggiante. Ma è Mustang, finalmente, a darci uno scossone: gli ingredienti per un classico dei Kings of Leon ci sono tutti, dall’ululato roco di Caleb ai riff, finanche alla domanda “Are you a Mustang or a kitty” neanche poi troppo retorica; è chiaro che nei quattro ragazzi di Nashville le due anime oggi sembrano convivere per questione puramente anagrafica.

I flashback arrivano forti e dritti alle orecchie con Nothing to Do ed Hesitation Gen, con un rumoroso rock & roll di chitarre e batteria degni degli esordi. I non rarissimi punti deboli del disco (Actual Daydream, Don’t Stop the Bleeding) vengono sapientemente compensati da M Television e Ease on Me, un chiaro tributo alle sonorità post Only by The Night. Tuttavia, nonostante le illusioni dei singoli estratti, i Kings of Leon di Can We Please Have Fun risultano ancora fin troppo puliti, patinati. Sia chiaro, sarebbe anacronisticamente impossibile riavere l’istinto e la ruvidità degli albori. Non gli si chiederà di certo di produrre la nuova Charmer o The Bucket, bevendo del whiskey dozzinale al bancone di un pub nel Tennessee, ma quantomeno preferiremmo che si divertissero senza chiederselo.