dark mode light mode Search Menu
Search

“Spider-Man: No Way Home” non è un inutile fanservice

Dopo una lunghissima attesa (prolungata dai vari rinvii dovuti alla pandemia) è finalmente uscito nelle sale Spider-Man: No Way Home, il 27esimo film del Marvel Cinematic Universe, il quarto della Fase 4 e il terzo dedicato all’Uomo Ragno (dopo Homecoming del 2017 e Far From Home del 2019, tutti diretti da Jon Watts). Nonostante la pellicola sia uscita da pochissimi giorni nei cinema di tutto il mondo, è già possibile affermare, dati alla mano, che siamo di fronte al più importante evento cinematografico dell’anno e al primo grande successo di pubblico su larga scala nell’era post-Covid. Basti pensare che a fronte di un budget di 200 milioni di dollari, il giorno dopo l’esordio internazionale e prima ancora della sua uscita statunitense Spider-Man: No Way Home aveva già incassato 50 milioni in Nord America (solo tramite prevendite) e 43,6 nel resto del mondo (al day one). Un’euforia generale che non si registrava dai tempi di Avengers: Endagame e che chiunque si sia recato in sala per vedere il film non può certo aver ignorato: cinema letteralmente presi d’assalto, sistemi informatici dei multisala in tilt per le troppe prenotazioni, lunghissime file al botteghino e sale strapiene a tutte le ore. Finalmente.

Certo, il fatto che a salvare i cinema dalla crisi pandemica non sia stato né il Tenet di Christopher Nolan, né il più recente Dune di Villeneuve farà senz’altro storcere il muso a una certa cinefilia con la puzza sotto il naso, che demonizza per partito preso prodotti commerciali a largo consumo come quelli del MCU, perché troppo banali, ripetitivi e privi di qualsivoglia spessore. Ad ogni modo, resta un dato fattuale e incontrovertibile che, comunque la si pensi a riguardo, ancora una volta la Marvel ha compiuto l’impresa supereroistica di riportare milioni di persone nei cinema di tutto il mondo. Cosa insperata fino a qualche mese fa. Chapeau. Dopo questa doverosa premessa è finalmente possibile entrare nel merito del film, invitando lo spettatore che non lo avesse ancora visto ad interrompere la sua lettura per evitare di incorrere in fastidiosissimi spoiler, che mai come in questo caso potrebbero inficiare la godibilità del prodotto. Sì, perché il primo grande colpo di scena in No Way Home (almeno per chi, come il sottoscritto, è stato alla larga da trailer, anticipazioni o supposizioni di ogni sorta) consiste nel fatto che la Marvel, in un colpo solo, sia riuscita a radunare tutti gli Spider-Man trasposti sul grande schermo, riservando loro una degna conclusione.

Quando finisce una saga a cui si è affezionati, capita spesso di fantasticare su cosa i personaggi facciano fuori campo, interrogandosi su tutta una serie di possibili finali “ulteriori”. Se questo meccanismo si innesca per saghe perfettamente chiuse, è tanto più frequente che avvenga quando la conclusione è stata lasciata in sospeso per ragioni produttive (esattamente come accaduto per la trilogia Spider-Man di Sam Raimi o per il dittico The Amazing Spider-Man di Marc Webb, di cui i rispettivi sequel sono stati prima annunciati e poi cancellati). Proprio per questa ragione, in No Way Home, il ritorno di Tobey Maguire e di Andrew Garfield nei panni di Peter Parker ha un valore speciale, dal forte sapore metacinematografico, che riporta lo spettatore indietro nel tempo, rassicurandolo sul fatto che da qualche parte le sue fantasie più recondite hanno effettivamente avuto luogo. I detrattori del film considerano tutto questo un inutile fanservice. Ebbene, fermo restando che la presenza degli Spider-Man di Maguire e Garfield è strettamente necessaria per la maturazione dell’Uomo Ragno di Tom Holland (che approfitta della loro esperienza per crescere, evitando di commettere i loro stessi errori e comprendendo finalmente fino in fondo che da grandi poteri derivano grandi responsabilità), risulta doveroso chiedersi come possa il fanservice avere una connotazione negativa nell’ambito del MCU. Al di là dell’incasso, sul piano strettamente cinematografico, lo scopo della Marvel è quello di intrattenere quanto più possibile lo spettatore. Tutti i suoi film sono e devono essere letteralmente al servizio dei fan per avere ragione di esistere. Tra tutte le critiche possibili, questa è senza alcun dubbio quella intellettualmente più disonesta.

Che il film abbia dei difetti è comunque indubbio e questi riguardano sia gli aspetti tecnici (il montaggio è tutt’altro che impeccabile), sia attoriali (Tom Holland debole come al solito), sia narrativi (i villain sono troppo facili da affrontare e a scatenare gli eventi sono ragioni futili e gesti che definire ingenui è un eufemismo). Ciò nonostante, in No Way Home l’intrattenimento è garantito. I 148 minuti di durata scorrono velocemente, l’umorismo risulta efficace e il protagonista sembra finalmente avere un’introspezione psicologica che fino a questo momento era stata solo abbozzata e pigramente reiterata. Inoltre, la regia di Jon Watts appare più coraggiosa che in passato (soprattutto all’inizio, quando osa con qualche interessante long take) e nel finale la fotografia ricorre a toni roventi ben abbinati alla drammaticità di fondo (che finalmente fa capolino anche nel Peter Parker del MCU). Insomma, Spider-Man: No Way Home potrà anche non piacere (soprattutto a chi non avesse mai visto i precedenti film sull’Uomo Ragno), ma è innegabile che la Marvel abbia fatto un doppio miracolo: ha messo finalmente un punto alle saghe sugli Spider-Man del passato lasciate in sospeso (un punto e virgola nel caso in cui decidesse di riprenderli nel prossimo futuro) e il cinema (almeno per il momento) è salvo grazie a lei.