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Tutti i film di Stanley Kubrick dal peggiore al migliore

Ossessionato dal take perfetto, esigente all’estremo con i suoi attori, ne sa qualcosa la Wendy di Shining alla quale il regista fece venire un esaurimento nervoso sul set, ossessionato dalla lettura, fonte vitale per scovare il soggetto perfetto del suo prossimo film, ma più di ogni altra cosa virtuoso come pochi prima (ed anche dopo) di lui della fotografia (suo primo amore) e della Settima Arte, che sono anche i due motivi principali per cui Stanley Kubrick è devotamente ammirato ancora oggi. L’Academy di Hollywood ha spesso inspiegabilmente snobbato la sua produzione, non riservandogli nemmeno una statuetta a dispetto delle quattro candidature come miglior regista. Il grande maestro, la cui vita lavorativa si è divisa tra New York e Londra, si è dovuto accontentare (si fa per dire) di aver elaborato dei trattati cinematografici sui misteri che avvolgono l’umanità e l’universo profondo (2001: Odissea nello spazio), l’oscura natura della società e della politica (Arancia meccanica), la forza agitatrice del soprannaturale (Shining) o la disumanità della guerra (qui la lista sarebbe lunga). Tutti film che, pure autonomamente, varrebbero la carriera di un regista cinematografico e che invece noi possiamo addirittura permetterci di ordinare, con un colpevole eccesso di zelo, dal peggiore al migliore.

13. Paura e desiderio

Sono i primi 62 minuti donati da Kubrick alla storia del cinema. Realizzato con un team di produzione di sole quindici persone ed un budget originario di solo mille dollari è il primo approccio di Kubrick alla guerra. Una guerra indubbiamente particolare, tra stati senza nome (perché la violenza non ha colori), probabilmente ispirata a quella di Corea, e che vede in primo piano non tanto bombardamenti e assalti quanto piuttosto argute riflessioni sulla condizione umana, mostrate allo spettatore attraverso un uso/abuso di primi piani dei quattro soldati protagonisti della pellicola. Soldati che atterrano per errore oltre le linee nemiche e che devono adoperarsi per arrivare sani e salvi nel loro territorio. Per farlo saranno costretti a prendere una ragazza prigioniera, dividersi, viaggiare lungo il fiume e fermarsi per cercare di uccidere un generale e un capitano nemici. Uomini prima che soldati, disperati, impauriti e smarriti, i cui foschi pensieri echeggiano sino a confonderli, facendo vacillare convinzioni ed identità di ognuno di loro.

12. Il bacio dell’assassino

Sono presenti tutti gli elementi del noir classico: l’ambientazione cittadina (New York), un’illuminazione ricca di chiaroscuri ed una femme fatale, in aiuto della quale giungerà Davey Gordon, un puglie in declino, innamoratosi della bella Gloria Price dopo solo uno sguardo: il famoso colpo di fulmine. Egli è pronto a tutto pur di difenderla dall’antagonista di turno, il viscido datore di lavoro della giovane donna Vinnie Raphael: interpretato da Frank Silvera (unico attore esperto del cast) che aveva già recitato per Kubrick nella sua pellicola di debutto Paura e desiderio. Iper-realismo alla Elia Kazan, una ritmica concezione del tempo della narrazione (favorita anche dalla presenza di fiabeschi flashback) ma anche un happy-ending un po’ melenso – impostogli dalla casa di produzione – costituiscono la cifra stilistica di «un tentativo frivolo e banale» come ebbe modo di dire molto tempo dopo il suo autore.

11. Lolita

Perchè nella scena iniziale il professor Humbert Humbert (James Mason) uccide un ambiguo e multiforme commediografo (Peter Sellers)? Il motivo risiederà nel morboso amore/affetto che il professore di mezza età prova per la “giovane ninfetta” (così viene chiamata) Lolita, una ragazzina di 12 anni, da cui Humbert è ossessionato al punto da decidere di sposare la madre di lei pur di restarle vicino. Film in cui il potenziale erotico dell’omonimo romanzo di Nabokov (dal quale il film è tratto) viene costantemente frustrato dalla morale perbenista della Hollywood classica. La rappresentazione di un corpo femminile giovane ma eccitante – che Kubrick realizza soffermando la sua cinepresa su dettagli quali le gambe e i piedi della giovane femmina non ancora donna o sui suoi modi beffardi e sfacciati – inducono nello spettatore una sorta di attrazione permettendo così al regista di far emergere, sia pure in modo non diretto ed esplicito, un eros deviato, riuscendo a creare, nonostante tutto, una pellicola provocatoria e di forte impatto per la morale del tempo.

10. Rapina a mano armata

Johnny Clay (alias Sterling Hayden), appena uscito di prigione, riunisce una banda per compiere un’ultima rapina – ad un ippodromo – prima di stabilirsi e sposare l’amata fidanzata Fay (Coleen Gray). Il piano è perfetto: ogni singolo partecipante ha il suo ruolo ben preciso e lo esegue con svizzera precisione ma Johnny non ha fatto i conti con il caso – incarnato in una moglie troppo chiacchierona o un barboncino indisciplinato – unica forza in grado di inceppare la sua laboriosa macchina criminale. Superbo thriller-noir che sembra anticipare (di quasi quarant’anni) Le iene di Tarantino e che strizza l’occhio più all’Infernale Quinlan Wellesiano che al canone di Kubrick. Come sottolineano le parole del grande critico cinematografico statunitense Roger Ebert: «Vedendolo senza il suo accredito, immaginereste mai che fosse di Kubrick?».

9. Spartacus

Fu l’unico film diretto da Kubrick di cui il regista non ebbe il completo controllo artistico, subentrando a produzione già iniziata in sostituzione di Anthony Mann licenziato da Kirk Douglas, statuario protagonista nei panni dell’eroico gladiatore-schiavo ma anche produttore del film. La prima opera a colori di Kubrick è un peplum campione d’incassi, che narra l’ardimentoso tentativo di Spartaco di portare i suoi seguaci (schiavi come lui) alla libertà, immerso nel contesto di un Impero Romano moralmente decadente. Se forse può definirsi come il film meno personale di Kubrick, l’iconica impronta del grande regista la si può comunque ritrovare nella fotografia e nelle inquadrature geometriche, così come nei contenuti: la volontà di analizzare le vicende dal punto di vista degli umili e di mostrare l’immutabilità della società e della natura umana, pur in costumi ed ambientazioni differenti, sempre affetta dalle stesse virtù e gli stessi vizi. Tutti elementi che rendono Spartacus uno dei migliori kolossal mai realizzati.

8. Orizzonti di gloria

Manifesto antimilitarista di Kubrick: siamo in Francia, nel 1916, durante la Prima Guerra Mondiale, quando l’ordine di un attacco suicida per conquistare una posizione tedesca ben difesa chiamata Formicaio porta all’ammutinamento un battaglione di soldati. La decisione di attaccare viene presa dal generale Mireau (George Macready) su invito del generale Broulard (Adolphe Menjou) dello Stato Maggiore, con l’obiettivo – più che di risollevare le sorti della guerra – di ottenere avanzamenti di carriera e ambite onorificenze. L’attacco si rivelerà, come previsto, un fallimento su tutta la linea: il battaglione, comandato dal nobile colonnello Dax (Kirk Douglas), verrà ingiustamente accusato da Mireau di codardia di fronte al nemico ed esemplarmente punito con il processo e l’insindacabile esecuzione di tre soldati estratti a sorte. Un destino infame, insensato, che l’idealista Dax tenta fino all’ultimo di scongiurare, finendo però per scontrarsi con l’ipocrisia ed il vuoto patriottismo-canaglia dei potenti.

7. Eyes Wide Shut

Testamento cinematografico di Kubrick, giunto in sala a ben dodici anni di distanza dal suo precedente lavoro. William e Alice Hartford (Tom Cruise e Nicole Kidman) sono una coppia (sul set come nella realtà) dalla vita idilliaca che, dopo aver presenziato ad una festa a casa di amici – in cui entrambi i coniugi hanno flirtato con alcuni convitati – comincia ad esplorare la propria relazione, entrando così in un mondo sotterraneo fatto di lussuria e fantasie peccaminose. La catena di eventi che vedrà il bel medico Bill fluttuare nella notte newyorchese tra baby squillo e luoghi di perdizione – su tutti un’orgia in maschera a cui mai avrebbe dovuto assistere – è innescata da Alice, che racconta al marito di aver sognato di tradirlo con un ufficiale. Un tradimento sognato vale quanto quello reale? Gli oltre 400 giorni continuativi di riprese e l’improvvisa morte del regista solo una settimana dopo aver finito il suo montaggio fanno di questo film uno dei più chiacchierati e attesi dell’intera storia del cinema.

6. Full Metal Jacket

Come un proiettile incamiciato – nel gergo Full Metal Jacket – è in grado di dilaniare i tessuti umani, allo stesso modo lo spietato sergente maggiore Hartman (Ronald Lee Ermey) squarcia ed estirpa l’umanità dalle sue giovani reclute attraverso un estenuante addestramento fisico, insulti mortificanti e soprannomi ignobili, con l’unico scopo di trasformarle in spietate macchine da guerra da inviare in Vietnam al servizio della Nazione. Non tutti però finiscono per perdere il senno ed il buonsenso: tra questi spicca il giovane studente Joker (Matthew Modine) che, concluso l’addestramento, partirà per il fronte come giornalista per la rivista militare Stars and Stripes. Nel tentativo di squarciare la monotonia della sua occupazione Joker deciderà di recarsi sul campo di battaglia, lì, con i suoi occhi, e lontano dalla propaganda delle autorità militari, scoprirà il vero volto della guerra: l’imponente sfilata di mezzi militari sulle note di Surfin’ Bird dei Trashmen lascerà il posto ad un finale lugubre e surreale dove quel poco che rimane del battaglione, originariamente armato fino ai denti, rientra alla base, avanzando tra le rovine in fiamme, cantando la Marcia di Topolino.

5. Barry Lyndon

È la personale Odissea, in due atti, del giovane irlandese di modeste origini Redmond Barry (interpretato da Ryan O’Neal), costretto a lasciare il villaggio natìo con in tasca solo venti ghinee d’oro e che finisce, dopo molte peripezie, per sposare la Lady Lyndon (Marisa Berenson), divenendo così Barry Lyndon. Questa non è la fine della storia, bensì solo l’inizio del secondo ed ultimo atto intitolato Resoconto delle sventure e dei disastri che accaddero a Barry Lyndon, nel suo disperato tentativo, aggiungiamo noi, di ottenere per sè l’agognato titolo nobiliare. Il film, realistico fino al midollo, è un sontuoso affresco del Settecento, ottenuto estrapolando scene e costumi da quadri, stampe e disegni dei maggiori paesaggisti dell’epoca ed usando la sola luce naturale, con tutt’al più l’impiego di candele e lampade ad olio per le riprese notturne. Una scelta ardita che implicò l’utilizzo di lenti rivoluzionarie, studiate dall’azienda tedesca Zeiss nientemeno che per la NASA, e nuove macchine da presa messe a punto, per l’occasione, dalla Panavision. Per la sua perfezione stilistica, la pellicola ottenne la bellezza di tre Oscar (per la scenografia, fotografia e costumi).

4. Shining

Tratto dal romanzo del maestro dell’horror Stephen King, Shining è un thriller capolavoro. Il leggendario personaggio di Jack Torrance (un magnifico Jack Nicholson) è un aspirante scrittore, disoccupato e con problemi di alcolismo, che accetta, assieme alla moglie Wendy (Shelley Duvall) e al figlio Danny (Danny Lloyd), l’incarico di guardiano invernale dell’Overlook Hotel: un isolato albergo sulle montagne del Colorado. Ben presto il piccolo Danny grazie alle sue facoltà extrasensoriali (denominate “la luccicanza”) inizierà a sperimentare visioni dell’oscuro passato del luogo e dei tremendi eventi futuri che lo riguarderanno. Inquadrature dalla perfetta e stordente geometria, epiche battute e una porta frantumata con un’ascia dal “lupo cattivo” hanno fatto di questa pellicola un cult movie, subito entrato nell’immaginario collettivo.

3. Dottor Stranamore – Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba

La fine dell’essere umano, imputabile alla sua stessa stupidità, è il tema di una delle più grandi commedie di sempre, che sfrutta la satira ed il grottesco, per descrivere il folle piano del guerrafondaio generale americano Jack Ripper (Sterling Hayden) che impartisce, senza nessuna evidente esigenza, ad uno stormo di bombardieri l’ordine “R”, ovvero la reazione nucleare all’attacco di un nemico. Un gesto che egli compie solo poichè intimamente convinto dell’esigenza, da parte degli Stati Uniti, di attaccare preventivamente l’Unione Sovietica. Un tema scottante, quello della gestione degli ordigni atomici, a pochi mesi di distanza dalla crisi missilistica cubana e dall’assassinio di JFK. L’umorismo del, per brevità, Dottor Stranamore non è rivolto tanto alla fragilità delle procedure e dei sistemi di sicurezza relativi alla gestione delle testate nucleari, quanto piuttosto agli uomini che le governano, dipinti nel migliore dei casi come persone infantili inadatte all’amministrazione di situazioni di tale gravità, e nel peggiore come esseri folli e paranoici, che compensano le loro frustrazioni (sessuali in primis) con un bellicismo cieco e ottuso. Fra i vari interpreti svetta un monumentale Peter Sellers, in grado di interpretare con la stessa efficacia tre personaggi completamente diversi fra loro: il fragile e imbranato presidente degli Stati Uniti, il pacato colonnello Mandrake ma soprattutto l’indimenticabile Dottor Stranamore, che cerca, con scarso successo, di dissimulare il suo passato di nazista e la sua sete di guerra, in un’esilarante serie di tic e di nevrosi.

2. Arancia meccanica

Dal romanzo di Anthony Burgess è tratta la storia del membro della banda dei Drughi Alex DeLarge (Malcom McDowell), anarchico-teppista quotidianamente impegnato in azioni criminali fin quando viene arrestato e sottoposto alla cosiddetta cura Ludovico: un programma governativo sperimentale creato per togliere ai delinquenti qualsiasi istinto offensivo e violento. Uscito di galera tutte le persone che avevano subito violenze da lui si vendicheranno sull’improvvisamente inerme Alex. La cura è lo spartiacque della pellicola: mentre nella prima parte assistiamo a scene di violenza gratuita ed efferata, quasi affascinati, accompagnati dalla (dissacrata) musica classica di Rossini, Beethoven e Purcell o quella più leggera e recente di Singin’in The Rain, nella seconda metà soffriamo insieme al protagonista, alle prese con una società intrinsecamente ostile ed inospitale. Grazie al colpo da maestro di Kubrick anche lo spettatore sembra inconsciamente subire le conseguenze dell’esperimento Ludovico. Criticato in principio per le sue scene di efferata violenza il film, che con il tempo divenne un cult assoluto, fu da subito elogiato da due pezzi da novanta della regia come Federico Fellini e Akira Kurosawa.

1. 2001 Odissea nello spazio

Opera Magna della Settima Arte. Film dalla complessità concettuale e stilistica quasi inebriante tratta, sotto l’etichetta della fantascienza, dell’evoluzione dell’essere umano. In un viaggio storico, futuristico e onirico al contempo dall’ominide “Guarda la Luna”, con un’ellisse temporale fra le più celebri dell’intera storia del cinema (osso-astronave), veniamo proiettati a bordo dell’astronave della segretissima missione spaziale Jupiter in compagnia dell’astronauta Bowman. Abbiamo ancora il tempo di un paio di “salti”, prima in una stanza da letto simil-francese del diciottesimo secolo poi nello spazio sterminato, dove fluttua un “Bambino delle Stelle”. La lotta manichea tra istinto ed intelletto, l’evoluzionismo darwiniano ma soprattutto la filosofia nietzschiana di Così parlò Zarathustra e della Genealogia della morale possono guidare lo spettatore alla risoluzione dell’enigma di questa apocalittica Odissea che ruota attorno alla misteriosa silhouette di un sinistro monolite con cui si interfacciano in vario modo i soggetti della pellicola. L’Odissea kubrickiana è il big bang della sua generazione, l’antenato di ogni film successivo.