dark mode light mode Search Menu
Search

Sì, c’era veramente bisogno di “Pinocchio di Guillermo del Toro”

Il film di Guillermo del Toro riesce nell’arduo compito di rinnovare una storia ormai vista e rivista, arricchendola di significati morali che oggi, in una realtà così fredda e individualista, servono come non mai.

Era il 1883 quando Carlo Lorenzini, più famoso per lo pseudonimo di Carlo Collodi, riuscì a pubblicare un libro per ragazzi con protagonista un burattino di legno. Quel libro passerà alla storia come Le avventure di Pinocchio – Storia di un burattino, e oggi viene ancora ricordato come uno dei classici letterari più importanti e famosi di sempre. Sicuramente Collodi non immaginava che il successo della sua storia avrebbe ispirato così tante opere cinematografiche, ma la realtà è che ad oggi Pinocchio è una delle storie più adattate sul grande e piccolo schermo. Tutto il mondo è ancora oggi affezionato alla versione animata della Disney del 1940, molto più dolce e buonista della sua controparte letteraria; gli italiani di una certa età invece portano ancora in gloria lo sceneggiato televisivo del 1972 in sei puntate di Luigi Comencini con Nino Manfredi. Indimenticabile poi la versione del 2002 di Roberto Benigni, lodata dalla critica quella di Matteo Garrone del 2019, da evitare il live action firmato Robert Zemeckis del 2019. Questo piccolo excursus storico pone quindi una domanda: avevamo davvero bisogno di un nuovo film su Pinocchio?

Pinocchio di Guillermo del Toro è probabilmente la sorpresa cinematografica dell’anno. Ci sono voluti ben quindici anni di lavoro al regista messicano per realizzare uno dei suoi sogni nel cassetto, ma il risultato è indiscutibilmente strabiliante. Il film, realizzato interamente in stop-motion, fin dalle prime sequenze fa subito capire allo spettatore che quella che sta per vedere non è la classica storia di Pinocchio con un lieto fine già scritto. Il contesto è quello della Seconda Guerra Mondiale in un Italia attanagliata dalla morsa del fascismo e Guillermo del Toro non ha nessun freno nel mostrare le atrocità di quel periodo. Senza nessun annuncio e con grande entusiasmo per tutti i suoi fan, il regista conclude la sua ideologica trilogia della guerra, cominciata con La spina del diavolo nel 2001 e proseguita con Il labirinto del fauno nel 2006, riuscendo anche con il suo Pinocchio a raccontare una fiaba fantasy e dark, in un contesto bellico realistico, portando avanti due filoni narrativi paralleli e complementari in maniera sublime. I puristi della fiaba di Pinocchio potrebbero storcere il naso per i tanti cambiamenti del Pinocchio di Guillermo del Toro. Abbiamo un Geppetto che ha precedentemente perso un figlio a causa dei bombardamenti, Mangiafuoco non è il villain, il Gatto e la Volpe sono sostituiti da due nuovi personaggi, così come la Fata Turchina. Il finale inoltre sovverte la storia che tutti già conoscevamo. Questi cambiamenti danno però nuova linfa alla narrazione, portando lo spettatore all’interno di un universo quasi completamente nuovo e permeato dallo stile unico che Guillermo del Toro trasferisce a tutti i suoi film.

Le tematiche care a Guillermo del Toro sono tangibili, in primis il costante dialogo tra la vita e la morte, rappresentato non solo nella messa in scena, ma soprattutto nei bellissimi dialoghi. Pinocchio non è solo un burattino che vuole diventare un bambino, ma è un concentrato di isterismo, dubbi, emozioni, proprio come dovrebbe essere un bimbo di quell’età, tanto da risultare spesso anche fastidioso e fallimentare, proprio come il suo babbo, un Geppetto che riversa le sue pene sull’alcol e sul suo lavoro. Dal punto di vista tecnico, il fatto che il film sia realizzato in stop-motion, dà a Pinocchio di Guillermo del Toro una verità e una poetica surreale. Qui non abbiamo pupazzi pronti e confezionati per essere venduti come portachiavi, ma delle vere e proprie opere d’arte che si muovono e che incarnano perfettamente la narrazione che del Toro vuole trasmettere. La texture di Pinocchio, ad esempio, è finalmente legnosa e scomposta, proprio come il suo carattere. Infine, il cast attoriale che ha dato le voci ai personaggi è di un livello eclatante: da Ewan McGregor, David Bradley e Tilda Swinton a Christoph Waltz e Cate Blanchett. Per tornare alla domanda che ci eravamo posti in partenza, Pinocchio di Guillermo del Toro è un film di cui avevamo assolutamente bisogno poiché in due ore riesce nell’arduo compito di rinnovare una storia ormai vista e rivista, arricchendola di significati morali che oggi, in una realtà così fredda e individualista, servono come non mai.