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Con “Council Skies” Noel Gallagher è tornato ad essere Noel Gallagher

In “Council Skies” non ci sarà il capolavoro che verrà ricordato negli annali, ma, di traccia in traccia, capita di chiedersi come sia possibile che un uomo scorbutico come lui possa ancora regalarci brani così belli.

Nella faida mancuniana più celebre della musica, tra tweet al vetriolo, insulti scherzosi e frecciatine non propriamente fraterne, Noel Gallagher mette sul piatto Council Skies, quarto album di inediti della sua carriera solista. Uno smile arancione su disco, un’immagine evocativa in copertina: gli strumenti di Noel Gallagher e dei suoi High Flying Birds, immortalati da Kevin Cummins, sono posizionati nello stesso punto in cui un tempo sorgeva il Maine Road Football Stadium, casa del Manchester City FC e luogo simbolo dei primi Oasis. Il mad fer it puro, rapito da dettagli del genere, cuffie alla mano ha sfondato pieno di aspettative la porta dell’ignoto, come da consiglio della traccia numero quattro e ha visto cosa c’è dietro. Council Skies era sul coffee table molto probabilmente davanti ad un divano e una pigra atmosfera da lockdown, proprio nel momento in cui la title track stava per nascere. Council Skies prima di essere il neonato discografico del Gallagher maggiore, è infatti il titolo dell’omonimo libro illustrato dell’artista Pete McKee.

Una scena familiare, un Noel casalingo, chitarra alla mano, a prendere appunti sparsi su una particolare sfumatura di blu, quella che McKee definisce tipica dei “cieli popolari”, gli stessi a cui il Gallagher da ragazzino guardava con aria sognante. Le tredici tracce ci offrono un’estetica omocroma, come spoilerato da copertina, attraverso una serie ricorrente di colori e sfumature nostalgiche, corredate da una sana dose di ottimismo. Se gran parte della tracklist era già nota come singolo, o precedente uscita in versione demo o ancora come inedito del recente best of, l’ascolto complessivo del disco risulta privo di grandi sorprese. Non una nota di colore, tutto è in palette, secondo uno spettro sonoro prestabilito, al limite della prevedibilità. Noel Gallagher stavolta sa di rassicurante, tra sonorità beatlesiane corredate da cori (I’m Not Giving up Tonight) e ispirazioni dark con Johnny Marr (non a caso, Pretty Boy sarà successivamente apprezzata e remixata da Robert Smith). Le luci psichedeliche e le sonorità ballabili di Who Built The Moon? sono ufficialmente alle spalle e non smetteremo mai di ringraziarlo, felici di riascoltare gli archi emozionali di Open the Door See What you Find e di Trying to Find a World That’s Been and Gone: Part 1 registrati ai leggendari Abbey Road Studios. Un ritorno ad un passato neanche troppo lontano, quello del primo disco solista o ancora della tarda era Oasis con Easy Now e la title track.

Ma se Love is a Rich Man ti fa inconsapevolmente intonare l’inno alla modestia di Ian Brown (l’intro è preso pari pari da I Am the Resurrection, ma non lo definiremmo plagio per le note a seguire), Think of a Number è un velato richiamo a Bowie. Nessuna nota stonata: le tracce fanno parte di un progetto omogeneo, di singoli variegati ma allo stesso tempo delicati, dai ritornelli non invadenti, come invece, probabilmente, avremmo desiderato. Ma Noel Gallagher, si sa, non ci spettina come fa il fratello, né intende sconvolgerci ad un primo ascolto. Ci ha abituati ad una somministrazione lenta e progressiva di piccole perle inaspettate, proprio come Dead To the World. Dietro la porta di Council Skies non ci sarà di certo la dichiarazione della tanto vociferata reunion, nè una roba imbarazzante per cui il fratello Liam si scuserà a nome della famiglia; non ci sarà il capolavoro che verrà ricordato negli annali della musica. Ma, di traccia in traccia, capiterà ancora di chiedersi, citando il fratello minore, come sia possibile che un uomo piccolo e scorbutico come lui possa ancora regalarci canzoni così belle.