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Tutti gli album dei Blur dal peggiore al migliore

In attesa del concerto di questa sera a Lucca, abbiamo messo in ordine di preferenza tutti i lavori in studio dei Blur, da “Leisure” all’ultimo “The Ballad of Darren”

A ventisei anni dall’uscita del disco di Song 2 e in attesa del concerto di questa sera sul palco del Lucca Summer Festival («I Blur sono stati una parte fondamentale delle nostre vite. Vogliamo suonare ai nostri fan con l’integrità che desiderano», ha fatto sapere Damon Albarn durante un’intervista con Matt Wilkinson per Apple Music 1), abbiamo messo in ordine dal peggiore al migliore tutti i lavori in studio dei Blur.

9. Leisure

Un debutto acerbo ma pieno di spunti positivi che in futuro avrebbero finito per farsi sentire. Siamo nel 1991 e nello stesso anno – giusto per fare qualche cenno storico – i Nirvana pubblicheranno l’iconico Nevermind. Realizzato durante la cosiddetta fase calante dello shoegaze, Leisure si configura come un prodotto incerto, a tratti anonimo, ma non privo di autentici colpi di genio: Sing, poi inserita all’interno della colonna sonora del famoso Trainspotting, è ancora oggi uno dei migliori brani della formazione britannica. In una frase: da qui in poi si può solo migliorare.

8. The Magic Whip

Pubblicato a distanza di dodici anni dal precedenteThink Tank, la reunion del 2008 darà vita a The Magic Whip, un disco che sembra ritornare alle sacre fonti dei primi lavori della band, allontanandosi dallo sperimentalismo dell’album precedente. Il risultato? Un lavoro mediamente convincente.

7. Think Tank

Il settimo album in studio degli inglesi è l’unico ad essere caratterizzato dall’assenza di Graham Coxon, che aveva praticamente “tiranneggiato” sui due progetti precedenti imponendo in maniera piuttosto massiccia la propria influenza. Think Tank è un disco che, distinguendosi per i forti connotati politici (siamo nel 2003, anno del triste conflitto a stelle e strisce in Iraq), diventa forse uno dei più sottovalutati in assoluto dal pubblico. Un particolare plauso non può che andare alla splendida copertina, tratta da un’opera del writer inglese Banksy.

6. The Ballad of Darren

L’ultima fatica discografica è un disco che non suona anacronistico, anzi, è forse uno dei più interessanti e sperimentali della loro carriera – The Ballad e The Narcissist sono i punti più alti dell’album. Registrato allo Studio 13 di Londra e nel Devon con la produzione di James Ford (che si sente, eccome se si sente!) è il lavoro più interessante dei Blur dal 1999 ad oggi, una vera e propria manna dal cielo.

5. Modern Life Is Rubbish

In Modern Life Is Rubbish comincia ad emergere l’ironia in fase lirica che avrebbe caratterizzato il successivo Parklife, il primo album di successo della band. Ad ogni modo, Modern Life Is Rubbish rappresenta un’evoluzione in positivo sotto tutti i punti di vista rispetto al precedente Leisure: un lavoro più maturo e bilanciato, decisamente meno acerbo rispetto al debutto, che permetterà a Damon e soci di crescere ulteriormente e con visibili risultati.

4. 13

Registrato tra il giugno e l’ottobre del 1998 a Reykjavìk (Islanda), 13 è il secondo disco in cui si rivelò decisiva l’influenza del chitarrista Graham Coxon. Il britpop – come confermato nell’omonimo Blur – rimane un lontano ricordo, in favore di un sound sempre più ammiccante all’alternative rock. 13 è un disco struggente e malinconico – come suggerito anche dal dipinto in copertina – la cui atmosfera è perfettamente rappresentata dal massiccio uso delle distorsioni applicate alla chitarra elettrica. Inoltre, non dimentichiamo che questo è l’album di Tender.

3. The Great Escape

In piena faida con i famigerati Oasis, impegnati nella cosiddetta “battaglia del britpop”, a settembre del 1995 i Blur pubblicano The Great Escape, il loro quarto album in studio. Siamo in un periodo animato da importanti singoli come Country House, The Universal e Charmless Man, brani che ancora oggi resistono nella memoria dei fan più affezionati. Ma al di là di ciò, The Great Escape rappresenta l’apice del periodo britpop, caratterizzato da brani dal profilo spiccatamente introspettivo grazie al racconto di temi quali la solitudine e il distacco. Il disco uscirà sconfitto dalla “battaglia”, ma invecchierà decisamente meglio nel corso degli anni.

2. Parklife

L’anno è il 1994 e Parklife prosegue sulla via del britpop avviata dal precedente Modern Life Is Rubbish, ritrovandosi a competere direttamente con lo storico Definitely Maybe degli eterni rivali. È il periodo in cui i Blur si identificano nella faccia più borghese della Gran Bretagna, cercando di sabotare dall’interno quello stesso ceto che avrebbero dovuto rappresentare con orgoglio. In ogni caso, Parklife diventa il primo vero successo commerciale della band – complici uno spiccato flirt con il pop e i toni piuttosto ironici della narrazione di Albarn – in cui è tuttora possibile riscontrarne l’anima giovanile.

1. Blur

Un’infermiera che spinge un letto d’ospedale in copertina e il singolo più famoso della band all’interno della tracklist. In una parola? Classico. È in questo periodo che brani come Song 2 e Beetlebum vengono designati come singoli trainanti del nuovo progetto e non possono fare altro che riuscire perfettamente nel loro compito, permettendo al gruppo di conquistare il difficile pubblico americano. Dopo un intero anno di riposo trascorso in Islanda, la band londinese torna con il suo disco più famoso, chiamato semplicemente Blur. L’album segnerà una vera e propria svolta nel sound del gruppo, che preferirà abbandonare la strada del britpop per lanciarsi in un percorso dai forti connotati lo-fi ed indie rock. Si dice che altrettanto forte fu l’influenza di Coxon su Albarn nel definire la direzione che il disco avrebbe dovuto prendere. E con il senno di poi, siamo sicuri che Graham ci avesse visto lungo.