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L’antipop di Cosmo

Non c’è niente di fiabesco in Cosmo ed è questa la vera marcia in più della sua storia. Tutto è sensazionale, nulla sensazionalistico

Vasco Brondi pochi giorni fa mi ha citato Sartre, che disse: “Uno che fa il cameriere, fa il cameriere, non è un cameriere”. Io ho profondo rispetto per Brondi, e – per una doverosa reverenza – anche per Sartre, eppure credo che questa frase, se accostata ad un artista, sia una grossissima cazzata. Ecco perché malgrado abbia trovato Sulle ali del cavallo bianco di Cosmo un disco stanco, privo di reali vezzi, dal sound sorprendentemente poco sofisticato, permane il desiderio di mettere in discussione le proprie idee. E allora ecco che qualche interessante spunto nella seconda parte affiora sopra il pelo dell’acqua come ad esempio l’esperimento breakcore di Tutto un casino e l’interessante monologo di chiusura in Il messaggio. Dopo due ascolti ho sentito un richiamo fortissimo alla visione di Antipop, il documentario del 2023 su MUBI che racconta in modo dettagliato tutti i punti di snodo della vita di Marco.

È lì che uno capisce che un disco può essere bello, brutto, mediocre, capito, non capito, ma un artista (in questo caso: grande artista) merita sempre il beneficio del dubbio quando è onesto. Perché Cosmo è gigante per il suo saper parlare di provincia come quasi nessun altro. Non c’è nulla di più affascinante di come riesca a mettere sotto i riflettori, ogni santa volta, aspetti che non assecondano la narrazione della caduta, ma dello stazionamento nella mediocrità. Nei passaggi del lungometraggio lo ripete decine di volte. Si potrebbe provare vergogna nell’era delle performance in cui siamo immersi ad ammettere di non aver toccato grandi vette – che poi è una menzogna, ma mentre lo dice non sta bluffando. Cosmo comunque se ne frega e ci parla di sopravvivere in provincia, galleggiando tra cose che là fuori sembrano ridicole, e questo è un vero atto di artisticità e coraggio, l’unica cosa che conta. Padre fascista, poi compagno, eclettico, coloratissimo, bizzarro. Madre ex body builder, dolcissima, bellissima. E poi una nonna che a un certo punto nel documentario dice: «A me quella musica fa proprio schifo», riferendosi ai Drink to Me.

Il nonno sorride nascondendo con diplomazia il suo pensiero. Eppure gli sguardi di qualcuno che prova un amore così incondizionato non tradiscono i reali sentimenti che vengono su dal cuore. Nessuno può contenere una pulsione artistica che spinge, ma nel contesto di Marco nessuno vuol farlo – tutti sorreggono questo stupendo tsunami naïf. Dai Melange ai Drink to Me, poi il passaggio all’italiano, passando per un lutto e un divorzio che cambiamo tutto. Non c’è niente di fiabesco in Cosmo ed è questa la vera marcia in più della sua storia. Tutto è sensazionale, nulla sensazionalistico. E allora non posso cambiare idea – porterei la mia tesi riguardo Sulle ali del cavallo bianco anche davanti a Gesù Cristo, ma nessuno può dubitare della grandiosità del disegno complessivo, che capiremo in modo inequivocabile solo una volta uniti tutti i puntini.