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Il ritorno a casa di Beyoncé è un kolossal

Non importa quanto tempo si manchi da casa, saprai sempre come tornare. Questa e non solo è la chiave di lettura che potremmo dare a Homecoming, il docufilm di Beyoncé (e da poche ore anche album live) che svela emozioni, pathos e fatiche davanti e dietro le quinte dell’incredibile performance di Beyoncé e della sua crew al Coachella Festival del 2018, ribattezzato dalla stessa, senza inutile falsa modestia, come Beychella.

Assente dalle scene dalla nascita della coppia di gemelli avuta col marito Jay-Z, Beyoncé non delude certo le attese come prima donna di colore ad aprire il festival. Due ore di spettacolo puro, perché definirlo concerto sarebbe riduttivo. Realizzato in onore delle HBCU, i college storicamente frequentate dagli afroamericani, la cantautrice e performer americana più che cantante è un capopopolo. Sfacciata, ma con eleganza. Ha qualcosa da dire e sa come dirlo.

Una dominatrice che sa come muoversi e come far muovere, in una totale sincronia con la propria crew di scena, ordinata come un plotone militare e tuttavia libera ed espressiva. Capace infine di infondere contemporaneamente enorme empatia e dolcezza e divertimento alla miriade di fan che la guardano. Climax che, in questo senso, raggiunge (spoiler alert) nel duetto col marito Jay-Z, in cui sguardi e movimenti palesano un’intesa naturale, dando quasi l’impressione di stare a guardare due leoni, ma senza la protezione delle sbarre dello zoo.

Da sottolineare anche la comparsata delle due migliori amiche Kelly Rowland e Michelle Williams, oltre che quella di Solange. Quattro mesi, il tempo necessario alle prove. Dure, faticose, intense mentalmente e fisicamente. Beyoncé si racconta, si mostra persona: struccata, affaticata, fragile ma anche tremendamente determinata nel percorso di recupero e preparazione necessario del corpo e della mente a seguito del parto. I dubbi e le paure di non poter più essere quella di prima. I propositi sociali, il ritorno alla massima forma, ma con una presenza nuova, ancora più risoluta di prima.

Un palco che già nelle prove si rende scenico, sormontato da un’impalcatura piramidale che regge i vari gradoni su cui gli oltre centocinquanta membri della crew mettono in scena (ma non solo) il proprio show. Un’orchestra (sì, esatto, orchestra), coristi, ballerini e creativi tutti coordinati, motivati e stimolati da quella che possiamo senza remore definire la regina del pop.

Un ritorno alle scene che definire in grande stile è un eufemismo. Uno spettacolo puro quello avvenuto sul palco (aperto da Crazy in Love e concluso con Love On Top). Un racconto vero e inclusivo quello della sua preparazione. Una bivalenza ben risaltata da una regia che alterna una visione delle inquadrature che vanno da un racconto più cinematografico, che gasa, che brilla; a uno più docureality in cui sembra quasi d’esser lì in mezzo alla folla urlante a registrare per conto proprio. Spazio al bianco e nero invece negli incisi in cui Beyoncé dimostra grande empatia nel raccontarsi e nel mostrare il lavoro di tutti i ragazzi impegnati nelle prove. Un film, nato da un lavoro maniacale durato otto mesi, che i fan di Beyoncé semplicemente ameranno.