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“Rocketman” è più musical che musicale

Che Bohemian Rhapsody abbia fornito a Hollywood una nuova gallina dalle uova d’oro lo si era capito fin dai primi rumors sull’uscita della pellicola, confermando brillantemente le sensazioni con il successo al botteghino, poi ribadito e conclamato con le vittorie all’Academy. Ed è proprio sulla fortunata scia dei Queen, che, a pochi a mesi di distanza, a salire sulla ribalta della scena cinematografica va Rocketman, film autoprodotto e basato, manco a dirlo, su Elton John. Le aspettative in sala erano tante, i dubbi molteplici e i paragoni inesorabili.

Del resto, immaginate di aver concluso un’importante storia d’amore che vi ha fatto sobbalzare il cuore, nonostante la voglia di rimettersi in discussione, riuscireste a non fare un confronto con la nuova? Questa ha ottime premesse per essere quella giusta, i tempi sono maturi e percepisci già una certa chimica fra voi. Inoltre, con la mente lucida e non presa dal momento, la precedente storia finisce inevitabilmente per perdere quella sua aura di perfezione, dopotutto nemmeno ricordava bene le date importanti, spesso le confondeva e intercambiava e a volte esagerava col melodramma. Un amore non si scorda, ma col tempo lo si vede con occhi diversi, lo si sente diversamente e alla fine o vince la nostalgia e finisci per rivederlo ovunque, o mantieni un gran bel ricordo, considerandolo però solo una tappa importante di un percorso più ampio.

Rocketman riesce nell’impresa di non far rimpiangere i Queen, segnando forse quello che probabilmente sarà un nuovo grande filone della cinematografia hollywoodiana: le stelle della musica che diventano stelle del cinema. In concreto, entrando un po’ più nel dettaglio, dopotutto a un paragone si sommano punti comuni e differenze. Il film di Elton John è più musical che musicale, ma anche chi non fosse propriamente fan del genere – io stesso mi sento chiamato in causa – non avrà alcuna difficoltà nel calarsi nella dimensione. È un po’ l’aura del personaggio che ne permette l’accettazione e la verosimiglianza. Per cui se solitamente avvertite un senso di disagio calati in quel clima surreale in cui dalle parole si passa al canto, in questo specifico caso il tutto viene percepito con naturalezza, una maniera spontanea di visualizzare una situazione non possibile nella realtà di tutti i giorni.

Ulteriore punto delicato e di curiosità va poi alla conclusione della pellicola, che racconta, de facto, una storia non conclusa – banalmente, a differenza di Freddie Mercury, la star britannica è, per nostra fortuna, ancora tra noi (date pure il via ai vari scongiuri di sorta, più o meno veraci che siano, non posso vedervi). Il film si concentra molto sulla giovinezza del cantante, il rapporto con la famiglia, quello praticamente inesistente col padre, quello complicato con la madre e la lieta nota di supporto che troviamo con l’amorevole figura della nonna materna. Parla anche del rapporto fraterno con l’autore dei lyrics, Bernie Taupin con cui “non ha mai litigato”. Mostra la rapida ascesa da predestinato e il successo planetario. Descrive l’amore tossico con l’agente approfittatore, ponendo l’accento sulla classica calata negli inferi di alcol, droga e sesso di ogni rockstar.

Il film inizia e finisce con Elton John nella clinica che gli permetterà di recuperare la sobrietà e riprendere le redini della propria vita. Tutto passando, analogamente al frontman dei Queen, alle difficoltà e alla profonda solitudine interiore dovuta alla propria omosessualità, da nascondere, difficile da accettare, internamente ed esternamente. Appuntate quindi sul calendario la data d’uscita, prevista nelle sale italiane per il 29 maggio. Non lasciate che l’uomo razzo fondi il suo motore lì da solo.