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“5 è il numero perfetto” è un “Sin City” all’italiana

Toni Servillo in 5 è il numero perfetto

Dopo tredici anni, e quasi altrettante stesure, Igort porta finalmente al cinema 5 è il numero perfetto, suo esordio alla regia e trasposizione dell’omonimo graphic novel (di cui è sempre genitore). Il film è valido – non solo perché d’esordio – e si ritaglia uno spazio quasi inesplorato nel cinema italiano, quello del film-fumetto, discepolo dell’americano Sin City. La trama in sé merita, incalzante e non priva di colpi di scena, senza però essere particolarmente innovativa: in una Napoli degli anni settanta, un guappo camorrista in pensione si ritrova ad estrarre nuovamente la rivoltella dal fodero per vendicare la morte del figlio. Prima che chiudiate l’articolo – forse anche un po’ delusi – ci tengo a precisare che no, non è un film esageratamente pesante, strappalacrime o impegnativo, anzi. E a chi invece parte sempre prevenuto nei confronti del cinema italiano dico: dategli una chance.

La Napoli dipinta da 5 è il numero perfetto è lontana da quella di Gomorra di Matteo Garrone: le strade sono completamente deserte, fatta eccezione per i protagonisti che le attraversano, e l’ambientazione completamente notturna, povera di colori e con un retrogusto black & white (forse primo elemento di vicinanza a Sin City). Questa parsimonia di personaggi che dà a Napoli un’aura di solitudine, non è data da una scarsità di budget, quanto piuttosto dalla volontà di raccontare una storia ambientata quasi in una dimensione parallela, lontana dal caos e dalla quotidianità. Forse però la vera ricchezza del film non risiede in questi grandi dettagli (trama, ambientazione e personaggi) quanto in quelli più piccoli, quelli a cui nemmeno fai caso durante la proiezione, ma che appena uscito di sala ti lasciano in bocca un sapore dolce o amaro. Insomma, sono loro a decidere la buona o cattiva riuscita di una pellicola. Ora, per poter elencare questi piccoli dettagli che hanno influito così tanto sul giudizio, forse occorrerebbe fare alcune delucidazioni, a cominciare dal perché sia un film-fumetto. La ragione non è un semplice e semplicistico “è tratto da un graphic-novel”; no, 5 è il numero perfetto è un graphic novel, semplicemente invece di essere stampato su carta, è impresso su pellicola.

Il film, scandito nella narrazione da cinque capitoli (numero causale?), utilizza diversi espedienti, voluti o meno, che rimandano al mondo della carta stampata: suoni onomatopeici, una fotografia del dettaglio mai fine a sé stessa, scene tripartite, spari assordanti e plateali, con sprazzi e spruzzi di un sangue rosso acceso ma per niente splatter (Sin City due la vendetta). Ora, non voglio soffermarmi troppo sull’interpretazione, perché in fondo se sono tra gli attori più affermati del panorama italiano un motivo c’è; né tantomeno voglio approfondire e vivisezionare troppo la trama per quelli di voi non particolarmente amanti degli spoiler; qualcosa però voglio lasciarvi: la ricetta che rende questo film diverso e ben riuscito: una fotografia eccezionale, una trama interessante, dei personaggi ben caratterizzati e non incapaci di sorprese e crescita personale, e un’interpretazione niente male, nessuno escluso. E il titolo? Perché tra tutti, proprio cinque è il numero perfetto? Due gambe, due braccia, una testa. Chi vuole intendere, intenda.