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Il Diabolik dei Manetti Bros. ha lo spessore emotivo di un post-it

Diabolik che fa gaslighting ed Eva Kant che beve il the. È così che si potrebbe riassumere Diabolik, il nuovo film dei Manetti Bros dedicato al ladro ideato da Angela e Luciana Giussani. Dimenticate l’originale di carta e quello del film del 1968 diretto da Mario Bava, e se andate al cinema dimenticate pure questo: il Diabolik di Luca Marinelli, infatti, con lo spessore emotivo di un post-it, probabilmente rivela i Manetti nella loro parte più intima, che ipotizzando potrebbe essere quella di chi con il fumetto ci è cresciuto. Se così fosse, ben venga, hanno realizzato un film più per se stessi. Se invece così non dovesse essere, Diabolik non solo si mostra come un film che non era assolutamente necessario e di cui ci dimenticheremo presto, ma soprattutto come un film poco riuscito. Tolti scenografie, costumi e colonna sonora – di cui la main track è la bella La profondità degli abissi di Manuel Agnelli – il resto ricade nell’abbozzato (sceneggiatura) e nell’elementare (recitazione).

Se abbiamo da una parte un Luca Marinelli che prova a l’uomo tutto d’un pezzo che non deve chiedere mai ma che anzi fa gaslighting come solo gli uomini duri sanno fare, dall’altra abbiamo Valerio Mastandrea che sembra quasi non prendersi sul serio nel ruolo dell’ispettore Ginko, sempre sul punto di scoppiare a ridere imbarazzato da ciò che sta facendo (come in effetti accaduto a Che tempo che fa); da un’altra parte, al vertice di questo triangolo delle bermuda cinematografiche (dove meriterebbero di sparire tutte le pellicole inutili), troviamo l’Eva Kant de noantri, interpretata da una Miriam Leone che, tra una tazza di the e un bicchiere di spritz che beve per due ore e un quarto, ci prova davvero a fare un buon lavoro, soprattutto perché conduce le redini del film. Peccato che tutti i suoi sforzi, ahimè, risultino vani a causa di un trucco che non è riuscito neanche a coprirle degnamente il tatuaggio che ha sul costato e che quindi contribuisce a far crollare la già vacillante sospensione dell’incredulità dello spettatore. Però se l’intenzione dei Manetti voleva essere quella di mettere in scena un diktat che mettesse in guardia le donne da potenziali relazioni tossiche, allora Diabolik gli è riuscito maledettamente bene.