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Tutti gli album di Michael Jackson dal peggiore al migliore

Quando parliamo di un artista così eclatante, divisivo e al contempo lungimirante, il rischio di inimicarsi gli uni – ossia i fan accaniti dell’artista – e gli altri – ossia gli oppositori – è pressoché inevitabilmente. Se poi parliamo di Michael Jackson, uno che a questo criptico scenario aggiunge la variabile vita privata, è evidente che trovare due persone sulla faccia della Terra che abbiano la stessa visione è francamente molto improbabile. Ecco perché, anziché tentare di dribblare scottanti unpopular opinions, il sottoscritto proverà ad essere super partes e quanto più possibile lontano dal consultare fonti (autorevoli o meno) che abbiano parlato della discografia del Re del Pop. Unica licenza che mi concedo è quella di includere solo due dei tre macro momenti della carriera dell’artista all’interno della valutazione. Se infatti la storia solista di Michael si divide in: giovanile (i quattro dischi che succedono i Jackson 5), adulta (quella che raccoglie i grandi classici dell’autore) e postuma (contenente Michael ed Xscape), credo sia più intelligente mettere sotto la lente di ingrandimento solo gli album della prima e della seconda fase, dato che i dischi postumi sono poco più che opere commerciali di sciacallaggio.

10. Ben

È il secondo album in studio di Michael Jackson solista. Leggermente inferiore rispetto agli altri che incorniciamo nella tetralogia giovanile post Jackson 5 ma è comunque frutto delle medesime ispirazioni. Un disco sufficiente ma tutt’altro che irrinunciabile.

9. Music & Me

Un album che risulta essere lo specchio della parte più dolce della vita di un giovane artista come Michael. I temi sono sempre molto frivoli e superficiali, ma c’è un piccolo passo in avanti rispetto a Ben.

8. Got To Be There

Un disco leggero, il primo senza i Jackson 5. L’amore anche qui la fa da padrone, ma non ci si può aspettare molto altro se si tiene conto dell’età del piccolo Michael.

7. Forever, Michael

Un disco leggermente più profondo dei precedenti, che getta le basi di quella che sarà la carriera del Re del Pop. Se ci si sofferma ad ascoltare con attenzione Forever, Michael è possibile infatti intercettare qualche segnale di svolta, verso quello che sarà il primo capolavoro della sua carriera: ovvero Off The Wall.

6. Invincible

Questo è l’ultimo vero disco di Michael Jackson (come detto, in questa classifica non menzioneremo prodotti postumi). Un passo indietro, certo. Ma è necessario citare You Rock My World, Butterflies, Cry, ma soprattutto l’esperimento di Speechless. È un disco alienante, che forse capiranno i nostri nipoti tra cent’anni. Non so se definire questo album il canto del cigno del Re del Pop sia calzante, perché forse HIStory, che citeremo tra poco, incarna meglio il concetto di opera titanica conclusiva. Ad ogni modo è evidente la maturità (e forse la stanchezza) di un Michael Jackson che ha spinto l’acceleratore per troppo tempo e ora sa che ad ogni minima sgasata, il motore lo può lasciare per strada. Nessun brano di Invincible finirà in un greatest hits, ma ciò non toglie che vi sia una certa perizia nell’impacchettare questo prodotto musicale.

5. HIStory: Past, Present and Future – Book I

Stiamo parlando di un ottimo disco, diviso in due parti (una che raccoglie le greatest hits, e una inedita). HIStory contiene alcune perle di pregevole fattura: mi riferisco a Stranger In Moscow, su tutte, che tocca vette altissime, come anche Earth Song – brano epico, quasi cinematografico, che tratta in modo consapevole la tematica ambientale. C’è poi They Don’t Care About Us che è un esperimento ritmico allucinante. Anch’esso, tra l’altro, è un pezzo impegnato, che porta Michael fuori da sé stesso, per incontrare il mondo. Se però il disco tratta tematiche più universali, la promozione (fatta di statue giganti di ispirazione comunista che lo ritraggono) ci ricorda che il Re del Pop è anzitutto un narcisista e accentratore di attenzioni. E, per quanto la sua fama lo porterà ad implodere, lui come Freddie Mercury (con cui condivide un brano, anche se molti non lo sanno, dal titolo There Must Be More To Life Than This) non possono che cercare spasmodicamente quei riflettori, perché sono nati per questo. Ad ogni modo, parlando della parte inedita dell’album, oltre ai brani citati, ci sono anche dei camei sonori e dei featuring illustri. Le comparsate sono quelle di The Notorious B.I.G. e Shaquille O’Neal, mentre le vere e proprie collaborazioni sono quelle con la sorella Janet (nel brano Scream) e R. Kelly, co-autore di You Are Not Alone. Ci sono poi le cover di Smile di Charlie Chaplin e Come Together di Lennon/McCartney (scusate se è poco).

4. Off The Wall

Questo disco è la Bibbia per i cultori del funk e dell’R&B da discoteca. Un album che per certi versi è il vero primo disco di Michael Jackson. Perché, non ce ne vogliano gli amanti del Michael enfant prodige, ma questo è il primo capolavoro (cronologicamente parlando) della sua carriera. Si prende poco sul serio ma finisce per segnare profondamente la storia del suo tempo. Off The Wall è un graffio sulla lavagna che fa girare tutti: “Ehi, ci sono anch’io, e ho tutta l’intenzione di restare a lungo”. Un disco seminale anche per lo stesso Jackson, che ripartirà da questo mood per scrivere il primo brano di Thriller, ossia Wanna Be Startin’ Somethin’, che dunque, per certi versi, è il filo conduttore che unisce gli anni Settanta e gli Ottanta. Un disco tutto da ballare, con mocassini lucidi, calzini bianchi e smoking scintillante.

3. Dangerous

Questo disco è geniale già a partire dal concept di copertina. Una perla di rara bellezza che merita un posto d’onore nell’Olimpo delle più grandi opere visuali della storia della musica. Di gran lunga la più bella di Michael Jackson. Ma non c’è solo una bella cornice, qui c’è anche una splendida Monnalisa, che ci insegue col suo sguardo e ci entra dentro come un macchinario ai raggi X. C’è qualche accenno al pop rock in Black Or White, ma non di certo a quello che imperava nelle classifiche di quegli anni (siamo nel 1991, e il mondo è appena stato sconvolto dalla wave grunge). Poi c’è lo scratch di Jam – stilema del rap urbano che di lì a poco sarebbe diventato definitivamente un genere mainstream – il che denota modernità, ma poi ci sono anche Heal The World, Will You Be There e Gone Too Soon, ossia delle ballad senza tempo che abbassano nuovamente i bpm. Un Frankenstein innegabilmente affascinante e cupo, che porta per l’ultima volta Michael nell’Iperuranio. Per certi versi è il mio disco preferito del King of Pop, ma ciò che stiamo per enunciare fa tremare i polsi.

2. Bad

E allora ecco che ci troviamo a spendere qualche parola su Bad: ossia quello che sarebbe il miglior disco della carriera del 95% delle popstar globali. Ma, per sua sfortuna, e per nostra fortuna, in questa classifica c’è anche un posto per ciò che dovrebbe essere fuori classifica. Ma ogni cosa a tempo debito. Bad è un disco sublime, maturo, completo e sperimentale. Una raccolta di mondi interiori caleidoscopici e ricchi di suggestioni. Dalla title track – il cui videoclip, a cura di Scorsese, è un cortometraggio da Oscar – fino a quei fill di batteria in Dirty Diana e The Way You Make Me Feel, passando per la violenta Smooth Criminal. E poi ci sono le ballate struggenti: Man In The Mirror (forse il miglior brano in assoluto di Jackson), Liberian Girl e I Just Can’t Stop Loving You. Insomma: se fosse un film, Dangerous sarebbe 2001: A Space Odyssey.

1. Thriller

Il più roboante e plateale disco pop della sua epoca e forse di tutti i tempi. Il disco più venduto della storia della musica (superate cento milioni di unità). Una Ferrari, una galassia di hit che hanno segnato un’epoca e fornito spunti per generazioni di producer, cantanti e musicisti. Un brano con un certo Paul McCartney (The Girl Is Mine), il videoclip della title track – che è forse il più iconico degli anni Ottana – un assolo, a dir poco stupendo, targato Eddie Van Halen (su Beat It), e la combo basso-batteria più incalzante della carriera del re del Pop (Billie Jean). Un disco che non passerebbe inosservato neanche se a commentarlo fosse un integralista della classica. Dieci e lode.