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Tutti gli album dei Green Day dal peggiore al migliore

I Green Day sono stati per tanti un gruppo di svolta, un ponte tra le classifiche di MTV e il rimpianto del vinile, ecco la classifica dei loro dischi.

Un po’ come Tarantino per i cinefili, i Green Day sono stati per tanti un gruppo di svolta, la band che ha aperto le porte a un ascolto più consapevole di un certo tipo di musica, un ponte tra le classifiche di MTV e il rimpianto del vinile. Spesso denigrati e disconosciuti una volta acquisito un gusto musicale definito, i tre californiani, mentre noi cresciamo, sembrano rimanere sempre uguali a sé stessi, pronti a ricordarci di quando, a quattordici anni, abbiamo ascoltato per la prima volta Basket Case e ci siamo sentiti anche noi dei melodramatic fools. Il loro pop punk semplice e immediato accompagna l’adolescenza di futuri musicofili da generazioni, tanto che «sono cresciuto con i Green Day» è una frase che è verosimile sentire pronunciata da un cinquantenne come da un ventenne. Con 85milioni di copie vendute e sei Grammy all’attivo, gli album del trio di Berkeley hanno spesso segnato in modo significativo l’immaginario pop del periodo in cui sono usciti.

13. Revolution Radio

Revolution Radio, purtroppo, non ha lasciato il segno neanche nella memoria dei fan più accaniti. Blando e ripetitivo, sembra quasi una riduzione in salsa ancora più pop di 21st Century Breakdown.

12. ¡Tré!

Il terzultimo album del gruppo è il capitolo più dimenticabile della già dimenticabilissima trilogia, in cui, con l’eccezione – a esagerare – di due tracce su dodici, tutto si perde in un mare di già sentito.

11. ¡Dos!

Il secondo capitolo della trilogia dimostra l’intento, non riuscitissimo ma apprezzabile, di misurarsi con un genere diverso come il garage rock. Insieme a qualche pezzo carino (Fuck Time, la ballad Amy in onore di Amy Winehouse) troviamo il punto più basso della carriera della band, ovvero Nightlife, in collaborazione con la rapper Lady Cobra.

10. Father of All Motherfuckers 

L’ultimo album della band ha scontentato molti fan e pare anche gli stessi componenti del gruppo, che non hanno quasi mai suonato in live nessuna delle brevissime tracce. Nonostante gli innumerevoli difetti, si riscontra un tentativo apprezzabile di creare un sound nuovo e attuale, in linea sia con i gusti del pubblico di oggi sia con la radice rock & roll del punk anni Settanta.

9. ¡Uno!

Dopo il barocchismo di 21st Century Breakdown, un più riuscito tentativo di ritorno alle origini era stato fatto con il primo capitolo della trilogia, non troppo incisivo ma caratterizzato da un felice ricongiungimento con l’immediatezza anni Novanta della band.

8. 39/Smooth 

Immaturi e ancora senza Tré Cool, che nel giro di qualche mese avrebbe sostituito il batterista Al Sobrante, i Green Day registrano un primo album piuttosto ripetitivo e decisamente meno graffiante dei contemporanei esordi punk californiani, ma in cui si può già intuire la distintiva capacità di interpretare con semplicità il disagio di una generazione. Decisamente migliore la versione ampliata 1,039/Smoothed Out Slappy Hours, pubblicata l’anno successivo.

7. 21st Century Breakdown

Opera ambiziosa e magniloquente, si tratta sicuramente di uno degli album più iconici del primo decennio degli anni Duemila, grazie a hit come 21 Guns, Last of the American Girls e Know Your Enemy, pezzo d’apertura per eccellenza dei concerti a venire. Il concept, politico quanto quello di American Idiot ma meno credibile nella raffigurazione della frustrazione della working class, tende un po’ a perdersi dietro un fiorire di leziosità musicali radio friendly che, dal punto di vista di gran parte dei fan, hanno segnato il definitivo declino della band. Comunque notevole la scrittura di molti testi.

6. Warning

Album atipico e all’epoca mal accolto da molti fan, che rimproverarono al gruppo la decisione di allontanarsi dal sound punk dei lavori precedenti per avvicinarsi a un rock acustico a tratti quasi country. Insieme a diverse tracce dimenticabili ed eccessivamente pop, sono comunque presenti brani interessanti, originali e graffianti nonostante il sound addomesticato, come la title track, l’esperimento western Misery, la struggente Macy’s Day Parade e la hit Minority.

5. Nimrod

Dopo i toni dark di Insomiac, i Green Day recuperano la freschezza che caratterizzava Dookie e realizzano uno dei loro album più vari, in cui, mantenendo l’affinità con il pop che li distingue, spaziano dall’hardcore punk di Take Back all’ironia di King for a Day e Nice Guys Finish Last, fino al romanticismo di Good Riddance, intoccabile pezzo di chiusura di praticamente tutti i concerti a venire.

4. Kerplunk

Il secondo album della band è il primo registrato con Tré Cool, grazie al quale Billie Joe e Mike Dirnt mettono a punto quello stile riconoscibile e immediato che sarà poi perfezionato con Dookie. Insieme a gemme nascoste come Christie Road e Who Wrote Holdel Caulfield?, troviamo la versione originale di Welcome to Paradise, prima hit del gruppo.

3. American Idiot

Rock opera politica ed esistenziale con cui i Green Day si reinventano e si impongono con forza nell’immaginario collettivo degli adolescenti degli anni Duemila, facendo da trampolino di lancio per quel pop borchiato vagamente punk che avrebbe caratterizzato un decennio altrimenti dominato da Christina Aguilera e affini. Un sound più costruito, radio friendly e a tratti barocco accompagna un album che, per quanto responsabile della definitiva espulsione del gruppo dalla nicchia del punk revival, risulta ancora oggi in grado di esprimere in modo credibile il desiderio di sovversione di una generazione, grazie soprattutto alla maturità dimostrata nella scrittura dei testi. Altrettanto notevole la decisa condanna a George W. Bush, all’epoca presidente degli Stati Uniti.

2. Insomniac

In seguito al successo di Dookie, i Green Day firmano uno dei loro lavori più maturi, caratterizzato da un sound cupo che, per quanto meno in linea con la leggerezza che è uno dei punti di forza della band, risulta credibile e ben integrato nella scena punk del periodo. Da ricordare Brain Stew, uno dei brani più interessanti in assoluto del gruppo, e la copertina dell’album, dal suggestivo titolo God Told Me To Skin You Alive.

1. Dookie

Insieme a Let’s Go dei Rancid, Smash degli Offspring e Punk in Drublic dei NOFX, Dookie è l’album che porta alla ribalta il punk californiano degli anni Novanta. Opera più rappresentativa di quel genere spesso sfuggente che è il pop punk, il terzo album dei Green Day unisce nel modo migliore le tematiche più esistenziali del punk con l’orecchiabilità del pop: caratterizzato da un sound riconoscibile e da testi tanto personali quanto universali, Dookie porta nelle case degli adolescenti di tutto il mondo un collage ironico e sincero di dubbi, paure, frustrazione, voglia di trasgressione e di anticonformismo che riesce ancora oggi, a quasi trent’anni dall’uscita, a dialogare con qualsiasi generazione.