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Viaggio nei segreti di “Abbey Road”, il canto del cigno dei Beatles

Il 26 settembre del 1969 usciva uno degli album più famosi di Fab Four e, ancora oggi, più noti e riconoscibili dell’intero panorama musicale. Il suo valore da sempre non è stato però solo legato al successo delle sue tracce come Something, Here Comes the Sun o Come Together, ma anche alla strana aura che avvolge la sua copertina spulciata da milioni di appassionati alla ricerca di indizi disseminati da quei ragazzi di Liverpool che, negli anni Sessanta, divennero, parola di John Lennon, «più famosi di Gesù». «Ma perché andare alle pendici del monte Everest?», si chiedevano i membri della band, ben poco entusiasti (per usare un eufemismo) dell’esotica idea avanzata da Paul McCartney. Il lavoro sul disco era terminato, le tracce incise e i titoli delle canzoni già scelte. La fretta o se vogliamo la pigrizia portò i quattro non a 7mila chilometri di distanza ma appena fuori dai loro Abbey Road Studios di Londra. Il progetto maccartiano di titolare l’album Everest/Tibet lasciò il posto ad un più domestico Abbey Road. La più banale delle idee, che il tempo renderà poi grandiosa. Più che riconciliati, i membri della band, infine, decisero di attraversare insieme Abbey Road. Il celebre scatto fu del fotografo scozzese Ian Macmillan. Egli giunse alla conoscenza dei quattro più famosi di Liverpool grazie a precedenti collaborazioni con la musa di John, Yoko Ono.

L’8 agosto 1969, giorno della celebre raffigurazione, la scena deve essere stata più o meno questa: un poliziotto che ferma per non più di una decina di minuti il frenetico traffico londinese, Macmillan in piedi su una scala in mezzo alla carreggiata che fa segno, nell’ordine, a John, Ringo, Paul e George di sfilare sulle strisce. Prima da sinistra a destra poi nell’altro verso, il gruppo attraversa il passaggio pedonale e viene immortalato per sei volte. Il quinto scatto è quello consegnato alla storia ed oggi presente nelle case di ogni appassionato di musica, sotto la più consueta forma di cd o vinile o, per chi è più kitsch, stampata su qualche maglia, tazza, portachiavi. «O cara, basta con questi musei!». Sono state le parole del più famoso intruso delle copertina. Si tratta, o meglio si trattava (visto che è scomparso nel 2008 alla veneranda età di novantasei anni) di Paul Cole, ovvero la figura in piedi sul bordo del marciapiede, vicina all’automobile nera della polizia. Un turista americano che, come racconterà anni più tardi, si era decisamente annoiato delle interminabili visite per la capitale inglese al seguito della moglie. Il destino volle che finisse per attaccare bottone con un poliziotto seduto nella propria auto, parlando del più e del meno, il resto è storia. La parte più dura per lui fu per il resto convincere i suoi stessi figli che loro padre aveva avuto un posto (in seconda fila) nella storia.

Non potevamo certo lasciare in disparte la celeberrima teoria del complotto che ritiene come questo album non rappresenti altro che la fine di Paul McCartney, morto in un incidente stradale. Gli easter egg disseminati nella copertina sarebbero moltissimi. L’abito bianco di John, come quello più canonico nero di Ringo, rimanderebbero all’idea del lutto o di una solenne cerimonia funebre, i jeans di George Harrison sono, per qualcuno, addirittura le vesti del becchino che scaverà la fossa. Paul dopo che nei primi scatti indossa dei sandali finisce invece per apparire scalzo e con gli occhi chiusi nella versione definitiva. E ancora, lui, mancino, stringe una sigaretta nella mano sbagliata, la destra. Poi c’è la targa del celebre maggiolino bianco che compare sulla sinistra della foto che recita LMW 28 IF, ovvero Linda McCartney Weeps (Linda McCartney piange). Inoltre 28 IF significherebbe per i fanatici del complotto, che Paul avrebbe 28 anni se fosse ancora vivo. Egli nato nel 1942 avrebbe avuto nel momento dello scatto 27 anni ma diventerebbero 28 prendendo come punto di partenza (sostengono sempre con forza i fanatici “PID”) la data del suo concepimento. Insomma, un album che a distanza di oltre cinquant’anni non smetteremmo mai di ascoltare ed incredibilmente anche di guardare.