dark mode light mode Search Menu
Search

“Spider-Man: Across the Spider-Verse” è tanta roba, pure troppa

Basta con la storia che i cinecomic sono tutti uguali: basterebbe osare un po’ di più. E il nuovo Spider-Man ne è la conferma.

E pensare che c’era chi sospettava che il filone cinecomic potesse stancare, poi arriva lo Spider-Verso, col secondo capitolo della saga di Miles Morales (spoiler: non sarà l’ultimo, aspettiamo tutti con ansia la chiusura della trilogia), che avevamo lasciato forte del suo ruolo su Terra #1610 dopo la morte dello zio, e dobbiamo necessariamente ricrederci. Perché no, i continui cinecomic, che siano Marvel, DC o altro, stancano solo se rientrano in canoni prestabiliti, se non provano a mettersi in gioco. E questo nuovo lungometraggio in CGI sull’amichevole Spidey di quartiere rischia di stravolgere ogni presupposto che ci siamo creati durante gli ultimi anni, da quando il genere è esploso al botteghino. La trama è lineare solo inizialmente, e nasce da un presupposto: Spider-Man è esso stesso in funzione di determinati eventi, ciclici e ricorrenti durante la sua genesi (in qualsiasi universo). Da grandi poteri derivano grandi responsabilità: quante volte l’abbiamo sentita questa frase, pronunciata dallo zio Ben come ultimo pensiero prima di morire tra le braccia del nipote? Iconica la sequenza con Tobey Maguire nel primissimo film di Raimi. E poi, con Garfield, a morire fu il capitano Stacy, padre di Gwen. Insomma, una serie di (sfortunate) coincidenze che hanno portato alla nascita del supereroe.

Che quindi esiste solo in funzione della morte di qualcuno a lui caro? Sì per tutti, tranne che per Miles Morales! Ed è qui che si sviluppa questo sequel di Into the Spider-Verse: può Miles continuare ad essere Spidey senza perdere il padre poliziotto? Lo sapremo solo a marzo 2024 purtroppo. Quello che sappiamo, dopo centoquaranta minuti in sala, è che visivamente Phil Lord e Chris Miller hanno esagerato, sono andati oltre, hanno enfatizzato e portato all’eccesso quanto fatto nel 2018. Perchè il multiverso in cui ci immergiamo è incredibilmente vario, estremamente colorato, ha miliardi di sfaccettature e niente è lasciato al caso. C’è un cattivo reso simpatico, The Spot, ed uno che non si comporta come tale solo perchè sta tentando di salvare l’equilibrio del multiverso, Miguel O’Hara/Spider-Man 2099. C’è una banda di comprimari da far impallidire gli eserciti de Il Signore degli Anelli: Jessica Drew che sgasa in moto; lo Spider-Punk doppiato da Daniel Kaluuya, una delle idee più matte e geniali da anni a questa parte; c’è Scarlet Spider (e meno male!). C’è persino una versione indiana dello spararagnatele, che vive a Mombatthan ed anch’esso dovrà affrontare la sua dose di sfiga e disgrazia insita in ogni supereroe. Unico dispiacere il poco rilievo dato a Spider-Gwen, il prologo del film ci illude solamente che lei abbia più che un ruolo marginale nel film. Peccato, il personaggio doppiato da Hailee Steinfeld avrebbe meritato un occhio di riguardo nella storyline, sarebbe stato curioso avere una protagonista femminile, finalmente.

Persino la soundtrack originale è eccessiva e va a braccetto con la follia del film. E chi poteva curarla, se non uno dei produttori più eclettici ed innovativi dell’intero panorama mondiale? Metro Boomin (che vedremo in Italia tra qualche settimana, a La Prima Estate al Lido di Camaiore) riunisce un team che nemmeno gli Avengers, svariando da James Blake ad ASAP Rocky, da Lil Wayne a Nav, ma anche Future e Coi Leray. Il punto è che, ospiti a parte, la vera superstar è proprio If Young Metro Don’t trust yYou, I’m Gon’ Shoot You, per citare una delle sue tante tag. Ogni beat è un viaggio da un universo all’altro, da atmosfere prettamente rap (Spider) o più chill e soffuse (Self Love). Un melting pot in cui non puoi non immergerti e lasciarti trasportare, con l’unico consiglio di non aspettarti nulla, perché potresti rimanere sorpreso col passare delle tracce. Nel 2019 il primo capitolo vinse l’Oscar come Miglior film di animazione. Non ci sorprenderemmo se questa parte due, per quanto incompleta a livello di trama, alla prossima edizione facesse ancora meglio. E basta con la storia che i cinecomic sono tutti uguali: basterebbe osare un po’ di più.