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“One Piece” ha interrotto la maledizione dei live action

“One Piece” sembrerebbe all’apparenza l’ennesimo tentativo di trasporre un qualcosa che andrebbe lasciato sulle pagine in bianco e nero, ed invece Matt Owens e Steven Maeda fanno il miracolo

La notizia nel mondo serial dell’ultimo mese non può che essere stata l’enorme risconto che ha avuto One Piece, la serie Netflix tratta dal manga di Eiichiro Oda. Rilasciata a fine agosto, in quel periodo in cui tutti ci stavamo godendo gli ultimi giorni di ferie prima di rientrare alla solita routine lavorativa, è diventata in breve tempo il caso dell’anno, volente o nolente. Già, perché parliamoci chiaro, finora gli adattamenti dal mondo anime erano stato un grosso flop per la casa di produzione streaming. Da Cowboy Bebop a Death Note, passando anche per Ghost In The Shell ed il recentissimo I cavalieri dello Zodiaco (“Mamma mia la monnezza che ho fatto”, leggetelo pure col tono eloquente di Renè Ferretti), finora i pareri negativi erano echeggiati all’unisono dal foltissimo pubblico che è cresciuto con questi saggi di cultura popolare, piuttosto che dei semplici fumetti con cui passare un’oretta del nostro tempo.

Tra trasposizioni poco fedeli all’originale, casting decisamente fantasiosi e utilizzo sconsiderato degli effetti speciali, le stroncature non sono mancate, lasciando decisamente l’amaro in bocca al pubblico. Figurarsi poi quando è stata annunciata, nel gennaio 2020, la messa in produzione di One Piece direttamente tramite il suo creatore, che ha però assicurato che avrebbe seguito passo passo l’epifania di questa nuova serie. Otto episodi che portano in scena i primi undici volumi del manga, sostanzialmente l’alba della ciurma di Monkey D. Luffy, il reclutamento di tutti i compagni che lo porteranno alla scoperta dei mari, al sogno di metter le gommose mani sul One Piece, il tesoro inestimabile che lo renderebbe il Re dei pirati. Ecco, One Piece sembrerebbe all’apparenza l’ennesimo tentativo di trasporre un qualcosa che andrebbe lasciato sulle pagine in bianco e nero o nella sua versione colorata e animata: come puoi pensare di rendere reale il corpo allungabile di Luffy? O Arlong e la sua truppa di uomini pesce? Parrebbe semplicemente forzato, irreale, fuori contesto.

Ed invece Netflix, col placet di Oda, fortunatamente sceglie la strada più semplice, ma che paga altissimi dividendi sul prodotto finale: memore dei fallimenti tonanti dei suoi predecessori, opta per non discostarsi mai dalla strada maestra. La trama è fedele all’originale (salvo qualche taglio, presumibilmente per motivi di tempistiche), addirittura le inquadrature del live action sono pedissequamente prese dalle tavole di Oda, donandoci uno show a cui è difficile non affezionarsi sin dalla prima inquadratura, l’esecuzione davanti alla folla di Gold Roger. Ma oltre al mero aspetto estetico, ciò che funziona sono anche le diverse emozioni che vengono stimolate durante la visione. Durante tutte e otto le puntate siamo messi nelle condizioni di empatizzare con le emozioni vissute dai protagonisti, da Zoro che “vendica” la bimba vittima dell’odioso Helmeppo all’algido capitano Kuro che si nasconde sotto mentite spoglie, alla comprensione nei confronti di Nami, prigioniera della banda di Arlong, che la tiene legata per mezzo di una promessa di tanti anni prima.

Il climax finale viene raggiunto quando la ciurma è al completo: il capitano Luffy, la scaltra Nami (riportata sullo schermo meno formosa, ma interpretata magistralmente da Emily Rudd), Usopp sempre incline alle panzane, Sanji (anche qui, piccola differenza col manga: non troveremo, ovviamente, un Taz Skylar con gli occhi a cuoricino e la bava alla bocca, quanto più un discreto, romantico e dongiovannesco cuoco) e Zoro. Ad interpretare lo spadaccino è Mackenyu, figlio dell’attore che interpretò Hattori Hanzo in Kill Bill Vol. I. Attore che ha preso parte anche al recente adattamento de I cavalieri dello Zodiaco, che qui però si prende una notevole rivincita, dato che le sue scene rendono merito alle sue doti di atleta e sportivo a tutto tondo. Perché un altro grande punto di forza sono le scene action, rese sempre godibili ed entusiasmanti. Insomma, nonostante qualche piccola pecca, insita quasi inevitabilmente quando scegli di realizzare in live action un’opera così mastodontica e “cartoonesca”, il risultato finale è sorprendente.

Una serie che sa farti anche ridere ed emozionare, per chi è cresciuto leggendo i manga di Oda ai tempi del liceo, come molti degli spettatori che attendevano l’adattamento Netflix. Come era lecito aspettarsi, è già arrivata la firma per una seconda stagione, che presumibilmente si inizierà a girare al termine dello sciopero degli sceneggiatori negli USA. Cosa aspettarsi quindi dal prosieguo? Ci accontenteremmo della linearità che abbiamo apprezzato in questa stagione, la stessa fedeltà all’opera prima, il trascinarci verso il Grande Blu e scoprire mondi nuovi. Solcando i mari accompagnati dalla ciurma di Cappello di paglia!