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“La vita bugiarda degli adulti” è una serie riuscita a metà, ma va bene così

La serie non restituisce allo spettatore la stessa moltitudine di racconti umani del libro. Ma è una già una gioia grande vedere su Netflix una storia di Elena Ferrante.

La vita bugiarda degli adulti ha una missione importante: far conoscere il mondo di Elena Ferrante al pubblico – ormai sempre più giovane – di Netflix. Sono tanti infatti i prodotti sulla piattaforma destinati alla Generazione Z, ma la miniserie diretta da Edoardo De Angelis (Indivisibili, Il vizio della speranza) grazie al nome altisonante di una delle più grandi autrici italiane contemporanee riesce a mettere davanti allo schermo adulti e giovani, che restano comunque il target principale di questo originale Netflix. La vita bugiarda degli adulti è basata sull’omonimo romanzo della scrittrice partenopea, che ne è anche sceneggiatrice. Tornano anche qui, come in tutte le sue opere, le macro tematiche che rendono la penna di Ferrante unica: il passaggio dall’infanzia all’età adulta, la scoperta della femminilità e la successiva esplorazione dei suoi anfratti più reconditi e oscuri, il rapporto con l’altro sesso e con la famiglia; il tutto sullo sfondo silenziosamente dinamico di una Napoli che nonostante la vita tumultuosa che la attraversa resta sempre uguale, un grande zoo a cielo aperto in cui vivono e convivono da secoli le specie più disparate di un’umanità tanto esagerata e assurda quanto vera e autentica. La protagonista è Giovanna (Giordana Marengo), una sedicenne studentessa del liceo classico che comincia ad affacciarsi alla vita adulta tramite la finestra della ribellione tipica degli anni Novanta – non è un caso che il trailer con cui la serie è stata pubblicizzata sia stato montato ad arte sulle note di Celebrity Skin delle Hole.

Curiosa e attenta, la ragazza colleziona ogni dettaglio, ogni parola, ogni sguardo con cui viene in contatto, fino al giorno in cui decide di incontrare la tanto disprezzata (e anche un po’ temuta) zia Vittoria (Valeria Golino), che la famiglia di Giovanna si guarda bene dal frequentare. Così Giovanna scende: scende dalla sua nuvola agiata fino a raggiungere la Napoli più malfamata e povera, esplorandone i vicoli e al contempo inerpicandosi su per le scale di questa zia sopra le righe, che si capisce subito aver sempre vissuto al massimo nonostante le minime possibilità. Vittoria colpisce subito: complice la straordinaria interpretazione di Valeria Golino, che ci restituisce un esemplare di donna dalle mille sfaccettature, incongruenze, spigoli, smussature e fragilità. Il suo personaggio pare di conoscerlo da sempre, di viverlo a fondo; entriamo in casa sua e possiamo sentirne precisamente l’odore, quel misto di sigaretta, caffè e un vecchio profumo da donna. Nelle orecchie ci risuona la sua risata, e quel modo di parlare in dialetto un po’ sguaiato che però ci impedisce di smettere di ascoltare il mare magnum di aneddoti e racconti che ne caratterizzano l’esistenza. Sentiamo in lontananza il ticchettio deciso dei suoi tacchi, riconosciamo le voci dei vicini di casa e l’odore del detersivo per pavimenti con cui lavano le scale, perché come dice Giovanna «quello non è un posto sporco, è solo povero». Grazie all’incontro tra queste due diverse generazioni di donne, Giovanna comincia ad avventurarsi sul sentiero che la condurrà a essere un’adulta. L’incontro con Vittoria rappresenta per la ragazza un vero e proprio rito di passaggio, il giro di boa nella prima fase della sua vita, la scoperta di se stessa in ogni aspetto e al contempo dell’ipocrita realtà degli adulti che la circondano.

Nonostante Valeria Golino catalizzi l’attenzione grazie a un personaggio caratterizzato al pari di una mostruosa figura mitologica come la Gorgone, in grado di paralizzare con un carisma e un’autenticità d’altri tempi gli spettatori, a La vita bugiarda degli adulti manca quel pesante velo aulico che caratterizza l’adattamento più famoso delle opere di Ferrante, ovvero L’amica geniale. Un vero e proprio capolavoro letterario che è riuscito a mantenere intatte le proprie caratteristiche anche come audiovisivo, cosa che nel caso di Netflix è invece riuscita a metà. Si ritrova tutto il mondo creato dalla scrittrice napoletana nelle scene in cui si delineano le diverse trame che compongono il complicato rapporto di Giovanna e Vittoria, nella rappresentazione mai lusinghiera dell’altro sesso e nella moltitudine di umanità che fa pulsare il cuore di Napoli. Ma togliendo questi elementi ed esaminando ciò che rimane, anche alla luce del cast corale che fa da sfondo alle vicende di zia e nipote, la serie non restituisce allo spettatore la stessa moltitudine di racconti umani. Ma è una già una gioia abbastanza grande che Netflix abbia portato sulla piattaforma una storia di Elena Ferrante, contribuendo, dopo anche La figlia oscura, a far conoscere un’eccellenza culturale nostrana in tutto il mondo, soprattutto al pubblico più giovane. E allora va bene così.