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Gli angeli e i demoni di Robbie Williams

Robbie Williams, il born entertainer, nella docu-serie sulla sua vita si avventura indietro di trent’anni in un percorso che più si presterebbe alla compagnia di San Pietro alle porte del Paradiso

Robbie Williams, l’ex Take That, il born entertainer, ci invita nella penombra della sua accogliente villa familiare come fossimo amici di vecchia data. Si mette comodo, canotta, tatuaggi in vista, collane e niente pantaloni; ci fa accomodare sul suo letto sfatto e, MacBook alla mano, si avventura indietro di trent’anni, dai suoi sedici anni ad oggi; un percorso che più si presterebbe alla compagnia di San Pietro alle porte del Paradiso, ironizza lui. Chi guarda, però, non giudica se l’Inferno gli sia più consono. In quattro ore di video inediti, filmati backstage e videoblog personali, è come se stessimo lì con lui a tenergli la mano durante un’intensa seduta dallo psicologo, tra la vergogna, la paura e il coraggio di riaffrontare emozioni dolorose, per metterle alle spalle, una volta per tutte.

La docu-serie in quattro episodi – diretta da Joe Pearlman e prodotta dal regista premiato agli Oscar Asif Kapadia – ci mette per osmosi nei panni di una rockstar e prima ancora di un ragazzino che, abbandonata la scuola a soli sedici anni, ottiene tutto, troppo e subito. Nessuna intenzione di romanzare o indorare la pillola: la depressione, la pressione sociale e le dipendenze arrivano presto in video senza preamboli, dritte allo stomaco di chi guarda e chi le rivive. «Il vaso di Pandora ormai è stato aperto», afferma Robbie in un timoroso clic sul Mac. L’ansia di vedere parti di sé spesso irriconoscibili per l’uso smodato di farmaci, lo portano più volte a premere stop di getto. Il passato di fama e successo, a cui allora ha avuto accesso con un golden ticket, si rivela essere un macigno e racconta un costante sovraccarico emotivo, a cui è ancora difficile sostenere la vista e il pensiero. E così, le scene di stadi gremiti, di jet, delle folle in delirio di Knebworth e Leeds, si trasformano in attacchi di panico lunghi interi tour e in steroidi somministrati in backstage. Robbie Williams assiste inerme ad un processo inesorabile in cui diventa l’unica vittima dei suoi stessi desideri.

Di scena in scena, ripete “il peggio deve ancora venire”, e chi guarda insieme a lui ha un’evidente visione dell’altro lato, quello oscuro, della medaglia del successo, fatto di insicurezze, pressioni e pericolosi vortici mentali. Robbie sorride teneramente nel rivedere la sua storia con Nicole Appleton, l’amicizia con Guy Chambers (noto produttore con cui interromperà i rapporti successivamente), la romantica e spensierata storia di un’estate sognante con Geri Halliwell, il tutto nel marasma dei titoloni provocatori corredati da foto imbarazzanti ad opera della stampa britannica. «È come essere in bilico al centesimo piano di un grattacielo in fiamme», dirà con l’ansia di dover rivedere l’ultimo, più difficile baratro in cui precipiterà. Ma l’incontro con Ayda Fields, il racconto del loro primo incontro e l’amore incondizionato farà quanto necessario a farlo essere ancora lì, seduto su quel letto a fare un bilancio dei suoi ultimi trent’anni. Per fortuna, la sua storia ha un lieto fine.