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Christopher Nolan con “Oppenheimer” ha riscritto le regole del biopic

Christopher Nolan tira fuori il suo film più asciutto, con un cast stellare e un racconto che scardina gli stilemi classici del biopic

Prometeo è sicuramente uno dei personaggi mitologici più legati all’idea di ribellione e progresso umano che ci sono giunti fino ad oggi. L’idea di un uomo che, trasgredendo le leggi divine, ruba il fuoco agli Dei per donarlo agli uomini è una perfetta metafora applicabile alla storia umana e ai cambiamenti costanti che questa ha attraversato. Ma Prometeo fu punito severamente per il suo gesto, costretto ad essere dilaniato ogni notte da un’aquila gigante, simbolo del peso e della responsabilità del gesto che aveva fatto. Anche Robert Oppenheimer, l’inventore della prima bomba atomica, ha dovuto pagare durante tutta la sua vita il debito per aver rincorso il progresso, in un vortice di peccati, colpe e dilemmi morali, perfettamente raccontati nell’ultimo film di Christopher Nolan, Oppenheimer.

L’architetto della narrazione non lineare torna in sala a tre anni di distanza dal suo lavoro più cervellotico e meno apprezzato, Tenet, con uno dei film più attesi dell’anno – complice anche una geniale campagna di marketing in compartecipazione con Barbie. Nolan è sicuramente uno dei registi più divisivi della sua epoca, o lo ami o lo odi, questo è palese. All’uomo in grado di creare blockbuster del livello di Interstellar, Inception e Il Cavaliere oscuro, viene da sempre attribuita la critica di puntare più sul gioco narrativo che sulla sostanza, creando caos. E allora Nolan, essendo un artista enorme, tira fuori il suo film più asciutto, con un biopic che scardina completamente gli stilemi classici del genere, ma che spiazza per l’impatto emotivo e visivo che procura. La storia del fisico che durante la Seconda Guerra Mondiale, nell’ambito del Progetto Manhattan, creò la più terribile arma di distruzione di massa, ci viene raccontata sotto tanti punti di vista, grazie allo sguardo di chi quella bomba l’ha costruita in prima persona, ma anche tramite quella di tutte le realtà scientifiche e politiche che gravitarono intorno a quel progetto.

Del resto, Robert Oppenheimer, interpretato da un Cillian Murphy nel ruolo della vita, voleva e doveva solo svolgere il suo ruolo di scienziato, l’unica cosa che sapeva fare nella vita, imboccato dall’idea che se la guerra non l’avesse fermata lui, l’avrebbero fatto i nazisti ai danni della sua gente. Ed è su questi presupposti che il film assume i panni di una spy story che scende all’interno del lato più oscuro della storia, grazie a personaggi interpretati magistralmente da un cast stellare (Matt Damon, Rober Downey Jr., Kenneth Branagh, Rami Malek, Gary Oldman). Ma la forza di un film come Oppenheimer sta anche nel fatto di raccontare un uomo controverso senza prendere una posizione precisa, ma lasciando allo spettatore il compito di scegliere se capire o accusare. D’altronde, Oppenheimer è stato un uomo speciale inserito in un turbinio di scelte etiche troppo più grandi di lui, le quali si sono riversate anche sulla sua vita privata. Una delle parti migliori è infatti la descrizione del rapporto con la moglie Kitty e con la sua amante Jean Tatlock, interpretate da delle gigantesche Emily Blunt e Florence Pugh.


Dal punto di vista tecnico Oppenheimer lavora di sottrazione, il che sembra un’utopia pensando a Nolan che fa un film sulla bomba atomica, ma la formula che il regista britannico mette in scena riesce perfettamente a trasportare lo spettatore all’interno di uno stato di agitazione e ansia, grazie ad effetti visivi privi di computer grafichi e ad un utilizzo del sonoro davvero suggestivo. Oppenheimer è quindi un’esperienza totalmente immersiva, che però non si dimentica di raccontare una storia forte e necessaria, soprattutto in un’epoca come la nostra dove ogni gesto è soggetto ai giudizi famelici di un pubblico sempre pronto ad attaccare tutto e tutti. E stavolta siamo proprio curiosi di capire cosa si inventeranno gli hater di Christopher Nolan