C’era un tempo in cui il Primavera Sound era il tempio dell’indie: chitarre riverberate, dischi con copertine minimali, pubblico con tote bag e sguardi assorti. Oggi, quel tempo non è sparito, ma si è moltiplicato. Il Primavera Sound è diventato un prisma che rifrange mille generi, mille estetiche, mille tribù musicali. È cambiato – sì – ma non ha perso la voglia di sorprendere. Anzi, ora lo fa su più fronti. Se da un lato ci si prepara all’invasione delle tre cavallerizze dell’apocalisse pop – Charli XCX, Chappell Roan e Sabrina Carpenter – che trasformeranno il Parc del Fòrum in un dancefloor surriscaldato, dall’altro il festival continua a coltivare l’anima da cercatore d’oro: tra un main stage e l’altro, tra il glitter e il mascara, spuntano nomi oscuri, progetti alieni, piccole gemme che potrebbero facilmente passare sottotraccia se non ci si fermasse ad ascoltare davvero. È questa doppia natura che rende il Primavera unico: la celebrazione del pop che sa essere spettacolo e linguaggio generazionale ma anche la chiamata per chi è sempre in cerca di un suono nuovo, di un’emozione diversa, di un’idea che spiazza.
Ogni edizione è una mappa da decifrare, un invito a perdersi e a ritrovarsi in set improbabili, a mezzanotte passata, in angoli del festival dove la musica pulsa ancora come se fosse l’inizio di tutto. Proprio per questi motivi, ho raccolto qui venti consigli per orientarsi tra le molte anime del Primavera Sound: dieci live imperdibili per chi vuole godersi lo show, e dieci chicche per chi ama scavare nei margini. Due emisferi dello stesso mondo, uniti dalla voglia di sentire qualcosa che valga il viaggio e la fatica.
I grandi nomi: dieci live che sono già una sicurezza
FKA Twigs
Più che un concerto, una visione. FKA Twigs non si limita a esibirsi: si trasfigura, incarna, danza come un fantasma che ha imparato a usare i sintetizzatori. Il Primavera le offre un palcoscenico all’altezza del suo universo estetico contorto, elegante, ultraterreno.
Jamie xx
Ci sono i live elettronici e poi c’è Jamie xx: l’alchimista del post-dubstep che trasforma l’euforia in melodia liquida. Il suo live è un rito collettivo, fatto di bassi profondi e nostalgia digitale. Preparati a ballare senza sapere se stai piangendo o sorridendo.
Idles
I pugni chiusi, le vene del collo, le urla come preghiere: gli Idles non suonano, combattono. Ogni loro set è un’esplosione controllata, un punk che puzza di verità, sudore e catarsi. Sarà pogo spirituale.
Stereolab
Quando la modernità era futurismo analogico, loro c’erano già. Gli Stereolab tornano come una navetta tempo-sonora dagli anni Novanta, con i loro ritmi kraut e le melodie fluttuanti. Sarà come ascoltare la rivoluzione seduti su una sedia Bauhaus.
The Jesus Lizard
Un tuffo nell’abisso: noise, sangue, chitarre slabbrate e urla che non hanno bisogno di spiegazioni. David Yow salterà sul pubblico come si salta su un’onda. Non sarà elegante, ma sarà memorabile.
MJ Lenderman
Country strascicato, chitarre impolverate, malinconia americana alla deriva. MJ Lenderman è lo slacker con la penna affilata, il Beck dei sobborghi del sud e il suo live potrebbe rivelarsi il più sottovalutato e sorprendente tra i “grandi”.
Turnstile
Hardcore che non ha paura di essere pop. Turnstile sono un’iniezione di adrenalina colorata, un moshpit che sorride. Il loro live è come saltare dentro un videoclip MTV del 2001 remixato da TikTok, furia gioiosa e contaminata.
Fontaines D.C.
I nuovi romantici, i nuovi paladini del revival post-punk. I Fontaines D.C. non raccontano solo storie, le sussurrano tra le righe di riff ossessivi e tensione emotiva. La loro presenza sul palco è carismatica e ipnotizzante, come chi sa di portare peso e bellezza insieme.
LCD Soundsystem
Ogni volta potrebbe essere l’ultima, ogni volta è un inno. James Murphy e la sua orchestra indie-dance-funky sono la festa perfetta: ironica, malinconica, irresistibile. Se non balli su Dance Yrself Clean, forse sei al festival sbagliato.
Anohni and The Johnsons
Un’apparizione rara, preziosa. Anohni canta come chi ha visto troppo, ma ancora spera. Sarà uno dei momenti più intimi e potenti del festival: arrangiamenti orchestrali, testi che scavano, e una voce che ti porta dentro il dolore e oltre.
10 chicche nascoste: per chi cerca l’inaspettato
Dame Area
Una delle cose più feroci ed eccitanti che può offrirti Barcellona: elettronica industriale, ritmi tribali, voce che comanda più che cantare. Un live fisico, che ti prende allo stomaco prima che alla testa. Suonano come se DAF e Liaisons Dangereuses fossero cresciuti in una sala prove sotto il Raval.
Kali Malone
Il tempo si dilata, il suono diventa materia. Organo, drone, lentezza assoluta. Kali Malone non ti intrattiene, ti ipnotizza. Sarà uno dei live più spiazzanti del festival, una pausa quasi mistica tra un palco e l’altro.
Julie
Un’onda di fuzz che arriva bassa e poi ti investe. I Julie suonano un dreamgaze lo-fi fatto di melodie semi-nascoste e rumore gentile. Se ti piacciono le band che sembrano ancora un po’ troppo timide per essere famose, è il momento di vederli.
Feeble Little Horse
Pop e rumore che si incastrano in modo disordinato ma affascinante. Hanno l’energia nervosa di chi ha appena scoperto quanto può essere bello fare casino. Una delle proposte più fresche del cartellone.
FCUKERS
Elettronica queer, ironica e tagliente. Performance e musica si fondono in un set che è rave e critica sociale insieme. Sarà un live irriverente e senza filtri, pensato più per spiazzare che per rassicurare.
Still House Plants
Sperimentazione fragile, suoni spezzati, voce che scivola via come se non volesse mai stare al centro. I loro concerti sono bizzarri ma magnetici, come quella conversazione interrotta che vuoi comunque ascoltare fino in fondo.
Gouge Away
Hardcore diretto, senza nostalgia. La loro forza è tutta nel tiro, nei pezzi che durano poco ma restano addosso. Non reinventano il genere, ma lo suonano con convinzione vera, ed è tutto ciò che serve.
Dehd
Un trio che mescola chitarre riverberate, malinconia leggera e melodie retrò. I Dehd sono la colonna sonora perfetta per un tramonto sul mare, ma senza dimenticare i giorni storti. Semplici, ma con un tocco che resta.
Chat Pile
Sludge rock, testi inquieti, atmosfera da incubo americano. Suonano come se Nick Cave fosse cresciuto in una discarica e avesse deciso di urlare invece di raccontare. Disturbanti, cupi, affascinanti.
Sandwell District
Minimal techno old school. Nessuna scenografia, nessun drop a effetto, solo grooves che si insinuano lentamente e non mollano più. Se cerchi un set elettronico serio e ossessivo, segna l’orario.