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“La casa di carta”, non era meglio fermarsi?

Cosa è successo Álex Pina? È questa la domanda che vorrei porre al regista de La casa de papel (o La casa di carta, scegliete voi). A quindici mesi dall’uscita della seconda stagione, che ha narrato il finale della prima parte della storia, Netflix ha reso disponibili venerdì scorso otto nuovi episodi. Va detto subito, però, che la strategia di marketing che ha portato a questo terzo atto (la statua temporanea in Piazza degli Affari a Milano è a dir poco geniale), è infinitamente più interessante e avvincente di quello che ci troverete dentro. La terza stagione inizia dai paradisi dove gli otto superstiti (Tokyo, Stoccolma, Nairobi, Rio, Denver, Helsinki, Lisbona e il Professore) si stanno godendo il loro malloppo. Il dibattito in Spagna ha reso molto popolare la banda in tuta rossa. Talmente conosciuti che, nel proseguo degli avvenimenti, viene fuori l’ammirazione che molti spagnoli provano nei loro confronti. I nuovi episodi seguono lo schema narrativo della prima stagione che vedeva al centro della trama Tokyo (Úrsula Corberó), la ribelle e impulsiva amante del giovane e ingenuo Rio (Miguel Herrán).

A scanso di spoiler, basti sapere che l’idillio dei ladri è destinato a interrompersi proprio sul più bello, con il Professore costretto a ideare una strategia per salvare uno dei membri in difficoltà che contempla – indovinate un po’ – una nuova rapina, ancora più coraggiosa della prima ma stavolta con il popolo spagnolo dalla parte della banda. Insomma, nulla di nuovo ed è proprio questo l’inghippo: ha senso fare una terza stagione per ripetere, di fatto, molte delle situazioni e dei colpi di scena già visti in precedenza? Era proprio necessario rimettere in scena una rapina spettacolare per proseguire nel racconto di questi moderni Robin Hood? Perché è questo che vi dovete aspettare: stesse modalità di ritrovo, di comunicazione, di organizzazione del colpo, coinvolgimenti e rotture sentimentali. E neanche l’hype creato da Netflix negli ultimi due mesi riesce a far bypassare allo spettatore le lacune presenti nelle otto puntate che nella pratica sono una rielaborazione della prima stagione.

Intendiamoci, stiamo sempre parlando di un prodotto qualitativamente discreto, soprattutto se paragonato ad alcune produzioni nostrane, ma quando si esaurisce la vena creativa (che nel caso di Álex Pina è successo dopo appena ventidue puntate) la scelta migliore è sempre quella di fermarsi, soprattutto se intorno al prodotto ci sono aspettative alte come in questo caso. Fatto sta che La casa de papel 3 è un prodotto che non raggiunge neanche la sufficienza e il rischio è che con la quarta stagione (perché sì, nel 2020 uscirà una quarta stagione) l’abisso sia inevitabile.