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Il remake di “The Guilty” con Jake Gyllenhaal è un capolavoro recitativo

È ormai riconosciuto dalla comunità cinefila come verità dogmatica: il catalogo Netflix, specie negli ultimi anni, è stato popolato via via sempre più da pellicole dozzinali. Trame infarcite, nella maggior parte dei casi, da fan service la fanno da padrone, come anche i personaggi stereotipati che veicolano le narrazioni. Il risultato? Prodotti tutt’altro che originali o men che meno sofisticati. Come tutti i dogmi, tuttavia, anche questo ricade nella casistica del pregiudizio. Visto che il sottoscritto detesta la natura pregiudizievole e lesiva dell’essere umano, mi sono ritrovato ad imbattermi nella visione di The Guilty, uno dei titoli di punta del mese netflixiano di ottobre.

Se da una parte mi ci approcciavo con la speranza di costruire, attraverso la mia esperienza, una antitesi che confutasse il dogma di cui sopra, dall’altra temevo che la visione potesse risultare parziale, o comunque filtrata. Fatto sta che, minuto dopo minuto, la parte analitica ha lasciato il posto a quella emotiva. Risultato? The Guilty è uno dei migliori film in circolazione (non solo sulla piattaforma rossonera). Un impressionante Jake Gyllenhaal, che interpreta un ufficiale di polizia relegato in un call center del 911, si fa catalizzatore di tutte le dinamiche della storia. Non ci sono altri attori, praticamente, in questo eccellente remake della pellicola omonima del 2018: solo Joe e la sua linea telefonica. Linea sulla quale corrono, si affolano e infine si intrecciano decine di fatti. La grandezza dell’interprete consiste nella miscela di presente e passato: della vicenda in primo piano (quella del presunto rapimento di una donna) e quella personale. Joe infatti sta vivendo un dramma personale insormontabile, ossia un’accusa di omicidio che gli impedirebbe di rivedere per anni sua figlia Paige.

The Guilty è un capolavoro recitativo che utilizza il thriller poliziesco come escamotage per disegnare, in modo estremamente realistico, i tratti della psiche umana. Ne esce un’analisi profonda, in grado di indagare sulla morale e sull’empatia dell’Uomo. Il tutto senza togliere mai il focus dal protagonista. La narrazione, infatti, si svolge integralmente all’interno di un ufficio della Polizia losangelina. Una storia che pare esser stata scritta per il teatro, anziché per il grande schermo. Un motivo in più per emettere un verdetto chiaro e definitivo sulla diatriba tra gli anti-Netflix e i netflixiani cronici. E allora un paio di colpi di martello da Giudice: l’imputato non è colpevole per mancanza di prove sufficienti. La seduta è tolta.