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Sette anni dopo, “Better Call Saul” è ancora il miglior spin-off di sempre

Sono trascorsi quattordici anni dalla messa in onda del primo episodio di Breaking Bad e oltre sette da quando gli appassionati di una delle più grandi serie del ventunesimo secolo sono alle prese con gli episodi del suo acclamato spin-off, Better Call Saul, ambientato qualche anno prima delle peripezie dei leggendari Walter White e Jesse Pinkman. Pur a così tanti anni di distanza dalla serie madre il lavoro di Vince Gilligan e Peter Gould continua ad essere uno dei punti di riferimento del pur mastodontico catalogo del gigante rosso-nero dello streaming. Se la grande attesa per la sua sesta ed ultima stagione può essere stata affievolita dalla sua faticosa gestazione – ritardata lungamente causa pandemia – e poi peculiare gestione della messa in onda – tredici episodi invece dei consueti dieci, divisi in due tranche, la prima delle quali esauritasi ieri con la messa in onda del settimo episodio – le quasi sette ore di intrattenimento concesse finora al pubblico certificano il pieno successo della nuova stagione di Gilligan e Gould.

Pericolosamente sospesa tra l’affaire malavitoso Gus Fring-Lalo Salamanca ed i funambolismi extra giudiziari della coppia Saul Goodman (Bob Odenkirk) e Kim Wexler (Rhea Seehorn) – uniti come mai fino ad oggi nel voler affondare il loro nemico comune Howard Hamlin – la narrazione scorre così efficacemente da far quasi dimenticare allo spettatore la promessa dei produttori della serie di riportare sullo schermo – per la prima volta in Better Call Saul – i celebri volti di Aaron Paul e Bryan Cranston. Better Call Saul si conferma una serie capace di vantare un’attenzione spasmodica al dettaglio, offrendo inquadrature degne delle impossibili prospettive di Paul Thomas Anderson e carrellate che strizzano l’occhio al maestro Scorsese. Un’esperienza visiva in grado di coinvolgere qualsiasi appassionato cinefilo, uscendo dalla cerchia esclusiva dei fan dei mirabolanti escamotage dell’avvocato Jimmy McGill alias Saul Goodman. Poi c’è Kim Wrexler, ormai una piacevole conferma, in grado di sfidare (solo in tema d’importanza) il protagonista-consorte. Personaggio che ritrova il piglio con cui l’abbiamo conosciuta, la voglia di superare i limiti e trasgredire la legge dietro i suoi tailleurini così perbene e la sobria pettinatura. Un’anima inquieta, che, camuffata da un’apparente serietà, riprende il suo fare d’insospettabile dark lady, stupendo e spiazzando non solo lo spettatore ma persino Saul.

È questo anche il momento in cui iniziano a stringersi gli intricati fili della narrazione, con un paio di colpi di scena da brividi. Rimane ancora la questione dell’incontro-scontro fra i Due Mondi. Se questa è però stata una domanda assillante durante le prime stagioni, il lungo arco narrativo di Saul Goodman – un uomo danneggiato dalla vita e dalle contingenze, fino ad aderire quasi completamente alla sua identità più fasulla, e più cinica, che abbiamo conosciuto in Breaking Bad – ha contribuito a trasformare la morbosa ansia nel diletto di una piacevole attesa. Per sciogliere anche l’ultimo nodo l’appuntamento è fissato per luglio.