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Federica Abbate non vuole più nascondersi

“Canzoni per gli altri” è un progetto che racchiude nove brani e dieci featuring, dove Federica non sveste i panni dell’autrice, ma veste anche quelli della cantautrice

Prendi nove persone e mettigli un oggetto in mano, mentre tu ti posizioni al centro, finalmente protagonista della tua storia. Si può raccontare così, brevemente, la copertina di Canzoni per gli altri, il nuovo album di Federica Abbate. Un progetto che racchiude nove brani e dieci featuring, dove Federica non sveste i panni dell’autrice, ma veste anche quelli della cantautrice. Un songwriter album versatile, che spazia dal pop all’urban, con una serie di collaborazioni che vanno ad arricchire la cifra stilistica dell’intero progetto. Federica Abbate porterà il suo nuovo album sul palco in una data speciale il 26 novembre a Milano in Santeria Toscana 31. «Sto già immaginando come sarà il live», ci dice. «Sarà una grande festa. Ho voglia di cantare le mie canzoni, ho proprio bisogno di farlo. I concerti sono la dimensione più bella perché rendono vive le canzoni, ed è bello poter condividere questo momento con chi mi segue, perché condivideremo tutti un pezzo di noi stessi».

Hai già lavorato, ad eccezione di Nashley, con tutti gli artisti presenti nell’album. Volevi chiudere una sorta di cerchio?
Per certi versi, probabilmente, sì. In questo disco volevo mettere Federica con la sua natura, quella di scrivere canzoni per gli altri, facendolo attraverso i featuring, scegliendo persone con cui sono più confidenti, ma anche nella scrittura. Tutti i team con cui ho lavorato me li sono portata dietro negli anni. C’è Federica con il suo passato, ma anche nel suo presente.

Quando lavori con la creatività, in qualunque campo, si è un po’ gelosi di quello che si fa, no?
Sono anomala, perché preferisco dare più che prendere. Se usciamo a cena insieme è probabile che sia io a pagare (ride, ndr.). Sono fatta così, quindi mi viene spontaneo dare una parte di me agli altri. In questo caso però avevo bisogno di bilanciare tutto, perché a fronte di tante belle cose date agli altri, avevo anche bisogno di tenere qualcosa per me, perché mi faceva piacere farlo. Quando faccio l’autrice lo faccio in maniera professionistica, quindi ho paletti e delivery, mentre qui sono libera. Un modo per dire: fatemi essere quello che sono senza dirmi prima cosa deve diventare poi questa canzone.

Avendo tanti paletti, quanto poi riesci a mettere di te stessa?
È un cinquanta e cinquanta. Parto da una visione molto personale, ma sto anche dietro a quella che è la vocalità dell’artista con cui lavoro, ad esempio, o la sua sensibilità. Il compito dell’autore è proprio quello di mettersi nei panni dell’altro, e conoscendo bene le persone con cui collaboro so che momento stanno vivendo e cosa direbbero, o non direbbero.

La cover ha un significato particolare?
I soggetti sono nove, esattamente come i brani dell’album, e tutti hanno un oggetto che rappresenta la canzone. Io sono al centro e non mi copro più, ma anzi sono fiera di esserci e di metterci la faccia.

Non ti spaventa assolutamente il fatto di metterci, appunto, la faccia, che sarebbe anche lecito.
Mi ha spaventato per tanto tempo. In foto vengo male avevo un palloncino davanti alla faccia, e tutte le volte che dicevo “faccio uscire qualcosa” ero terrorizzata da tutto quello che ruotava intorno al brano, perché la canzone nella sua scrittura, ma ovviamente ha un’estensione ben più ampia, che va oltre. Tutto quello che riguarda “il resto” per me era la giungla. Crescendo sono diventata adulta e, come dicevi, avevo bisogno di completare il cerchio, passando dalla scrittura al raccontarmi, perché non potrebbe farlo nessun altro.

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