dark mode light mode Search Menu
Search

La ribellione pop di Gio Evan

Si può parlare di Gio Evan come di un «rivoluzionario gentile», anche se lui preferisce il concetto di ribellione. «”Ribellissimi” è una rivincita nei confronti dei termini che ci sono stati affiancati», ci dice.

Ribellissimi è il culmine di un percorso che ha visto, dal 2018 ad oggi, Gio Evan pubblicare tre album, un lungo elenco di libri (poesie, romanzi e un’antologia) e una serie di brani inediti che hanno contribuito a renderlo un artista unico, difficile da descrivere e definire. Si può parlare di lui come di un «rivoluzionario gentile» che usa le parole per condividere pensieri sul mondo che lo circonda, cogliendone bellezza, contraddizioni, anima e l’intima semplicità. Anche se lui non si sente un rivoluzionario, «preferisco il concetto di ribellione», ci dice nella nostra intervista.

Ribellissimi è l’ennesimo tassello di un percorso che ormai è iniziato nel 2014 con Cranioterapia. Con quali consapevolezze e con quanta serenità sei arrivato alla pubblicazione del disco?
Il percorso che mi ha portato a Ribellissimi è stato abbastanza sereno, oggi mi sento molto in pace ed in equilibrio con il campo artistico. La dilatazione del tempo e la lentezza che ho dedicato alla realizzazione di questo disco mi hanno reso sicuramente più consapevole, in particolare in questo momento sento di avere una responsabilità artistica che agli inizi non immaginavo. Cerco di selezionare con cura quasi maniacale le parole da usare perché sono convinto possano educare, prima o poi, una creatura vivente.

Ti è mai capitato che la definizione «rivoluzionario gentile» finisse per starti stretta nell’arco di questi anni?
Mi è capitato di volermi distanziare dalla definizione «rivoluzionario gentile» quasi subito dopo averla pronunciata in realtà. La verità è che non mi sento rivoluzionario e non ho niente a che vedere con la rivoluzione, preferisco il concetto di ribellione. Ribellissimi è proprio una rivincita anche nei confronti dei termini che ci sono stati affiancati – e che anche noi stessi abbiamo usato in varie occasioni – che ora però ci vanno stretti: ribellione è anche darsi la possibilità di affermarsi come qualsiasi cosa si voglia essere.

Come è nata la collaborazione con il Maestro Roberto Cacciapaglia in Graffi e la vostra intesa artistica, unendo poesia e musica?
Sono sempre stato un grande ammiratore di Cacciapaglia e l’epicità della sua musica mi ha sempre aiutato ad accedere a meditazioni profonde e pensieri. Non pubblicavo da molto e sono sempre stato distante dall’idea di fare featuring – cosa sicuramente anomala soprattutto oggi – ma avevo la necessità artistica che nell’album fosse schierato anche un maestro, non solo in senso musicale ma inteso anche come maestro di vita: Roberto per me è un guru, quando apre bocca emana verità ed un grande spirito. Gli ho chiesto umilmente di poter collaborare aspettandomi un no ed invece ha inaspettatamente assecondato questo mio desiderio.

Il video del nuovo singolo Susy si chiude con la frase: “Non ambisco così ferocemente ad essere solo me stesso dacché posso essere anche bambino, quercia, fanciullo e aquilone”. Me la spieghi in maniera approfondita?
Sono convinto che non siamo chiamati in vita a frequentare solo noi stessi. Dobbiamo prenderci la responsabilità di essere tutti e che la vita degli altri fa parte in qualche modo anche della nostra. Bisogna gettare le fondamenta dell’immedesimazione che da sola non basta, ma deve portare a capire che siamo parte degli altri, delle altre vite e degli altri cuori. Pina, secondo me, era l’esempio migliore di questa esigenza di trascendere ruoli, forme, mondi e giudizi.

Dal 2007 al 2015 hai viaggiato a lungo in bicicletta in giro per il mondo. C’è un luogo in particolare – fisico, ma non necessariamente – dove vorresti spingerti per portare la tua poesia, la tua produzione letteraria e anche la tua musica in futuro?
Il desiderio sarebbe espandere i miei orizzonti oltre oceano, lì ci ho lasciato il cuore. Mi piacerebbe moltissimo sia fare dei tour, sia aprire uno studio di registrazione in Sud America. Vivere tutto il mio apparato musicale ed artistico magari in Brasile del sud sarebbe un’emozione unica, sono molto legato a quei luoghi e popoli, alla loro cultura e sensibilità.