Presentato nel corso dell’ultima edizione del Festival di Cannes, How to Have Sex è il lungometraggio d’esordio della trentenne britannica Molly Manning Walker, approdata alla regia e alla sceneggiatura nel 2020 con il cortometraggio The Forgotten C, ma già direttrice della fotografia dal 2012. La fotografia, non a caso, è uno degli aspetti più notevoli del film, abilissimo a ricreare i colori brillanti e le atmosfere al neon che caratterizzano i luoghi ricreativi di Creta. La sedicenne Tara (Mia Bruce-McKenna), accompagnata dalle amiche storiche Skye (Lara Peake) ed Em (Enva Lewis), arriva nell’isola greca per festeggiare la fine delle scuole superiori: l’inizio del college, dopo l’estate, segnerà per le amiche la conclusione dell’adolescenza, ma il futuro, per le tre ragazze, non si presenta ugualmente roseo.
Em, infatti, è sicura di andare al college, mentre Skye e soprattutto Tara guardano all’inizio della vita adulta con dubbi e angosce. Skye, tra le tre la più disinibita, esorcizza le insicurezze sottolineando la propria sessualità, il fisico già sviluppato e l’attrazione che è in grado di esercitare sui maschi coetanei. Tara, ironica e dall’aspetto ancora immaturo, non riesce invece a interagire con l’altro sesso senza timidezza: il suo obiettivo, nel corso della vacanza, sarà proprio perdere la verginità. Traendo ispirazione da Spring Breakers di Harmony Korine, con cui condivide l’estetica iper-saturata, Molly Manning Walker ritrae un mondo di adolescenti alla cieca ricerca di divertimento, ragazzi e ragazze che, prima di entrare ufficialmente nella vita adulta, si radunano in località estive allestite come luna park, con il dichiarato obiettivo di “trasgredire”. Pur senza raggiungere il cinismo di Korine, Walker descrive la fauna umana di Creta in modo lucido e realistico, senza sentimentalismi e senza moralismi.
Lo spettatore non è invitato a giudicare le giovani protagoniste, ma a lasciarsi trascinare nella loro grande avventura, sì esaltante ma, soprattutto nella seconda parte, molto amara. La forza del film risiede proprio nell’empatia suscitata dalle tre protagoniste, figure assolutamente credibili di sedicenni spavalde ma insicure. Il più grande merito di Walker è la capacità di trasporre sullo schermo, in modo schietto e realistico, l’amicizia tra ragazze adolescenti, un tipo di esperienza che raramente è stata vista al cinema. Il potere di attrazione come misura di popolarità, la “gara” all’ultima che rimane vergine, la ricerca di validazione maschile come rassicurazione sul proprio valore e la forte competizione interna sono aspetti problematici di questo tipo di amicizie, poco rappresentati proprio perché spesso crudeli: accanto a questa dimensione, ritratta coraggiosamente in tutta la sua complessità, Walker riesce comunque a rappresentare la profonda sorellanza che le giovani protagoniste condividono.
La dimensione urticante e competitiva del “gruppo di amiche”, legata al rapporto con il mondo maschile, è una chiara derivazione della cultura patriarcale, che opera ferocissima sui corpi e sull’immaginario dei personaggi di Walker. L’ansia che Tara prova riguardo al suo “stato” di vergine è indotta da uno sguardo maschile oggettificante e predatorio, che spinge la ragazza prima a percepire una forte competizione con le coetanee considerate più attraenti di lei, poi a subire una serie di atteggiamenti molesti che non le è consentito di riconoscere come violenti. Coming of age disinibito e disilluso, How to Have Sex getta uno sguardo lucidissimo sull’adolescenza femminile, segnando il debutto di una regista sicuramente sensibile e di un’attrice, la protagonista Mia Bruce-McKenna, molto promettente.