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Nella Taranto distopica di “Mondocane” nessuno ha un futuro

Abbronzatura da paura con la diossina dell′Ilva, qua ti vengono pois più rossi di Milva e dopo assomigli alla Pimpa”, canta Caparezza in Vieni a ballare in Puglia. Con questo singolo del 2008, il cantante pugliese ha reso manifeste le molteplici scabrosità che tutt’ora ledono il tacco d’Italia. Nel caso dei versi sopracitati, Caparezza fa riferimento ai disastri ambientali causati dalle Acciaierie di Taranto, motivo di innumerevoli morti e contaminazioni, comparando la pelle degradata delle vittime al manto maculato a pois rossi della Pimpa. Tutto ciò è la radice da cui parte lo scenario rappresentato da Alessandro Celli in Mondocane, il suo primo lungometraggio cinematografico, presentato alla 78esima Mostra del Cinema di Venezia. Celli ha ambientato la sua storia in una Taranto futura, distrutta dai disastri dell’Ilva, isolata e dominata dalla criminalità, nella quale i pois rossi della Pimpa non sono il frutto di un’infezione cutanea, ma delle sparatorie tra clan, polizia e civili. In questo panorama post-apocalittico simile a quello di Mad Max, le scelte possibili per un giovane tarantino sono due: morire di fame o stare dalla parte dei criminali. E in questa terra che non c’è, a fare da Peter Pan per i bimbi sperduti si trova Testacalda (Alessandro Borghi), boss delle formiche.

Le formiche sono una banda criminale composta principalmente da ragazzini che si nascondono nel formicaio, il loro rifugio segreto. L’impatto iniziale che lo spettatore ha con esso è quello di un parco giochi nel quale ogni ragazzino/formica disegna, pittura, corre e si diverte. Ma, come il Paese dei balocchi di Pinocchio, si trasformerà in un vero e proprio incubo, fatto di egoismo, classismo e indifferenza. Il tutto, manipolato dal vile e meschino Testacalda, che ricorda molto il Charles Bronson di Tom Hardy. La realtà dei fatti verrà affrontata dai due giovani protagonisti del film Pietro e Christian, rinominati dalle stesse formiche rispettivamente Mondocane e Pisciasotto. All’inizio del loro percorso i due amici condividono lo stesso desiderio: entrare nella banda per sfuggire a una condizione di estrema povertà. Col tempo, le loro aspirazioni discordanti porteranno a un conflitto che metterà a repentaglio la loro amicizia e la loro stessa vita. A fare da burattinaio, il solito, perverso Testacalda. Così come Mangiafuoco, per lui la convenienza viene prima di tutto: qualsiasi membro della banda, se non ritenuto necessario, verrà abbattuto.

A fare la differenza in questo film, oltre alla valida interpretazione degli attori, alla regia dinamica e all’ottima scelta e composizione della colonna sonora, è la scenografia. Il panorama post-apocalittico precedentemente citato è composto da fabbriche abbandonate, porti vuoti, zone inagibili e molta polvere. La scenografia non solo dà allo spettatore una sensazione di degrado, anarchia incontrollata e disordine, ma anche di isolamento e abbandono, quasi come se non ci fosse nient’altro al di là dei confini tarantini. La forza espressiva e la maestria con cui è rappresentata l’ambientazione del film la rende una comprimaria, al pari dell’interpretazione di Alessandro Borghi. Inoltre, la scenografia si fa portavoce della componente fondamentale della pellicola: la distopia. Mondocane racconta il capolinea di un territorio, di una nazione, di una generazione. I giovani protagonisti non hanno e non avranno mai un futuro nel mondo raccontato da Alessandro Celli, un mondo portato alla distruzione a causa di una precedente generazione incapace e disinteressata alla prospettiva di vita dei propri figli. Il conto è salatissimo e a pagarlo, come in ogni racconto distopico che si rispetti, saranno sempre gli innocenti, come possiamo vedere fin dall’inizio dagli spasmi di Christian, aka Pisciasotto, frutto proprio di quei disastri ambientali commessi in passato.