dark mode light mode Search Menu
Search

I sogni lucidi di Carl Brave

Carl Brave non ama vivere nel passato. Ed è forse proprio per questo che ogni suo disco è un lavoro a sé. L’abbiamo incontrato alla vigilia dell’inizio del suo nuovo tour

“Se solo potessi evitare di dormire, ma non posso. Cerco di dirmi cosa sognare, cerco di sognare di volare – qualcosa di liberatorio – non funziona mai”, dice David Aames in un passaggio di Vanilla Sky di Cameron Crowe. Il protagonista non ha poi molto in comune con Carl Brave. Perché David, anzitutto, è interpretato da Tom Cruise, hollywoodiano alto un metro e settanta, mentre Carlo è un ex cestista di un metro e novantacinque. E poi perché David nei suoi sogni non riesce a volare, mentre Carlo lo fa di continuo, a tal punto da riuscirci metaforicamente anche quando apre gli occhi ed inizia la vita reale, quella della musica. Sia David che Carlo, però, hanno sperimentato i sogni lucidi. «Un sogno lucido è un sogno in cui tu ti svegli e cominci a fare come vuoi. Io ti giuro che il disco Polaroid l’ho sognato prima ancora di scriverlo. Mi capita ancora con i brani che compongo», mi spiega durante una pausa dalle prove del suo nuovo tour estivo che partirà stasera da Roma per concludersi a settembre a Catania.

Anche David Lynch faceva qualcosa di simile per scrivere le sceneggiature dei suoi film.
È un’esperienza pazzesca che ti consiglio di fare. Ovviamente è qualcosa che ti può sbloccare artisticamente solo se quando ti svegli nel sonno fai qualcosa di inerente alla musica. Ma anche se fai altro, in un certo senso, ti aiuta a fornirti immagini.

Meglio il mondo reale o quello dei sogni?
Non c’è paragone tra il mondo reale e il mondo onirico. Il sogno lucido è una cosa stupenda che andrebbe analizzata più a fondo di quanto la società fa. È come avere un superpotere.

Ci vuole disciplina per perfezionare i tuoi sogni lucidi?
Assolutamente sì, in questo periodo non lo sto facendo tutti i giorni, ma il modo migliore per arricchire un’esperienza di questo tipo è scrivere un diario, mettersi delle sveglie sul telefono e fare delle azioni in modo scaglionato durante la giornata. Ci sono dei testi che spiegano queste tecniche.

A che punto sei della tua carriera?
Spero di essere all’inizio di un percorso molto lungo e pieno di belle soddisfazioni. Dal punto di vista artistico, penso di poter dare ancora tanto. Al momento sono tranquillo: sto cercando di evolvere ulteriormente il mio sound, e la mia scrittura si arricchisce sempre di più. È una scrittura che si basa molto sulle immagini che vedo intorno a me. Infatti, quando viaggio scrivo moltissimo. Chiaramente l’ispirazione principale parte sempre da Roma, che è la città in cui ho trascorso la maggior parte della mia vita.

Che poi se non sbaglio tu sei uno dei pochi artisti romani a non essersi trasferito a Milano in pianta stabile, giusto?
Viaggio molto ma alla fine torno sempre a Roma. Questa città è il punto da cui tutto parte e a cui tutto torna.

È ancora possibile per un personaggio pubblico come te fare la vita di sempre?
Sicuramente dopo che diventi un personaggio pubblico la voglia di fare la vita di prima un po’ se ne va, perché la situazione inevitabilmente cambia. Ecco che allora sei costretto a centellinare le serate. Però la vita normale di prima te la puoi sempre fare fuori dall’Italia.

Prima mi parlavi di sound. Tu hai fatto rap, cantautorato in romanesco, musica elettronica e anche hit estive. In pratica ti manca solo la musica classica. Cos’è che lega le tue identità artistiche diverse?
(Ride ndr.) Credo che il collante sia il mio essere produttore. Io posso svegliarmi una mattina e scegliere che genere di disco voglio fare, ed è quello che tiene il tutto insieme. Se volessi fare un album reggae, mi metterei a cercare di capire le caratteristiche di questo genere e mi butterei senza paura.

Ti faceva soffrire il fatto che cambiare così tanto ti porti inevitabilmente a deludere alcuni dei vecchi fan che magari ti hanno conosciuto in una veste diversa da quella attuale?
Sì, certo, ma è una cosa che succede a tutti in ogni ambito. La gente magari ti impara a conoscere quando sei ancora sconosciuto. Il problema è che non appena diventi famoso scatta un pizzico di rifiuto da parte dei vecchi fan, ma alla fine è naturale e per certi aspetti è giusto così.

Ci soffri ancora?
È sempre difficile accettare le critiche, ma adesso riesco a gestire tutto molto meglio. Sono i rischi del mestiere, come si suol dire.

Come si è evoluto il tuo modo di scrivere?
Ho capito che la cosa più importante di una canzone è sempre la struttura. È quello lo scheletro su cui poi costruire il pezzo. Se prima andavo con la classica struttura strofa-ritornello, adesso ho capito che bisogna evolversi e sapere quando inserire i bridge, gli special, i ritornelli e tutto il resto. L’importante però è sempre non perdere la strada.

A ridosso dell’uscita di Taxi Driver, Rkomi mi disse di essere rimasto sorpreso dal fatto che Sfera Ebbasta nel brano Nuovo Range avesse citato Non succederà più di Claudia Mori e Celentano. Anche Hula-Hoop (il suo nuovo singolo con Noemi ndr.) nel bridge cita questo brano iconico o sbaglio?
Il modo in cui la cita Sfera è diversa ma altrettanto efficace: la sua è proprio sul testo, oltre che sulla melodia, mentre la mia è sulla cella ritmica e sulla linea melodica. A me piaceva citare il concetto di essere coppia nello stesso modo in cui lo erano Claudia Mori e Celentano. Tutto il pezzo è ispirato a quei tempi e a quell’immaginario: alla fine la canzone non è altro che un dialogo tra me e Noemi, la storia di un’estate. La citazione quindi mi pareva appropriata. Alla fine, nonostante appartengano ad altri tempi, pezzi come Non succederà più sono rimasti nell’immaginario italiano.

Quindi la musica è ciclica, siamo d’accordo?
Assolutamente sì, è come la moda. Si prendono continuamente sfumature del passato e si adattano, operando una ricostruzione del presente. È una sorta di processo di sedimentazione.

Qual è il sound di oggi, allora?
Credo che ognuno sta prendendo una direzione e che sia impossibile identificare una posizione univoca. Se ci pensi, le hit estive di quest’anno hanno tutte caratteristiche diverse: c’è Shakerando di Rhove, con quel mood francese reggaeton, ma allo stesso tempo può funzionare qualcosa più anni Sessanta come il La dolce vita di Fedez, Tananai e Mara (Sattei ndr.).

Come si costruisce una hit estiva?
Conta più la struttura che la veste. Poi ovviamente se non hai la spinta della radio o di Spotify il pezzo non va. Nel mio piccolo, io faccio sempre pezzi secondo i miei criteri, che spesso non c’entrano tanto con altre hit estive.

Eppure Tommaso Paradiso ha dichiarato che fare hit estive è un mestiere a parte, una specie di campionato con le sue regole. Ad esempio diceva che ogni anno le etichette si riuniscono e dettano gli stilemi della nuova wave delle hit estive. È una trollata, allora?
Non è esattamente una trollata. Perché ovviamente, se fai un pezzo a 60 bpm di quattro minuti e mezzo che parla di montagna, è difficile che funzioni. Quindi ci sono senz’altro delle regole. Però non è detto che tu debba seguire un canone artistico definito. In generale credo che ogni artista abbia il suo modo di costruire una hit estiva. Io ad esempio ho fatto sempre brani in controtendenza, con un sound poco stereotipato.

Ho letto recentemente un’intervista a Noel Gallagher in cui dichiara di non amare vivere nel passato, vale lo stesso per te?
Al passato non ci penso praticamente mai. Ho fatto sempre scelte sulla base del mio intuito, ad ogni modo sono state dettate dalla mia esigenza artistica, a partire dall’entrata in major.

La firma in major cosa comporta?
In major non è che mi abbiano imposto cosa fare, mi hanno semplicemente dato una mano a livello di marketing, di contatti e cose di questo genere. Non è la major che decide come devono essere i brani: ti aiuta solamente ad arrivare a più persone. Poi oggi tutti gli artisti di cui conosci il nome stanno in major.

In questo momento stai lavorando a qualcosa?
Io sono uno che lavora sempre, specialmente sulla produzione. Apro Ableton e inizio a giocare a riposizionare le tessere del puzzle. Al momento sto cercando di esplorare cose che non ho ancora mai fatto.

Venerdì da Roma parte il tour, cosa ci dobbiamo aspettare?
Saremo in undici sul palco, sarà molto vario. Grande musica suonata. Spazierò dall’acustico romanticone all’elettronico da cassa dritta e porterò vari aspetti della mia carriera.


Foto di Niccolò Berretta
Digital Cover di Jadeite Studio
Coordinamento redazione: Emanuele Camilli
Ufficio stampa Carl Brave: Salvatore Maggio/Erica Gasato