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Naska – Berlin Calling

Per troppo tempo il pop punk in Italia è stato l’elefante nella stanza. A rimettere le cose in chiaro è stato Naska: un bad boy di provincia che non vuole sembrare niente, ma essere tutto

In questi giorni, anche in Italia, è stato possibile vedere l’aurora boreale. Mi hanno spiegato che non è un fenomeno meteorologico, ma elettromagnetico, dunque non facile da prevedere: semplicemente, se si è fortunati, arriva e te ne accorgi. Ecco, con il pop punk è successo qualcosa di simile qualche anno fa. È stato la nostra aurora boreale improvvisa, ed è comparsa a colorare cieli che non ci saremmo mai aspettati. Quando tutto ciò è iniziato, ho voluto fortemente parlarne con Naska – uno di quelli che questo fenomeno elettromagnetico l’avevano avviato. Da chiacchiera nasce chiacchiera e insomma alla fine, dopo diverse interviste e cazzate su WhatsApp credo di essere diventato amico di Diego. Quando è così iniziare un’intervista diventa parecchio più facile, perché la prima domanda è sì la più telefonata, ma anche la più giusta.

Come stai?
Mai sereno, sempre agitato. Però questa irrequietezza è frutto di una lunga serie di cose da fare che riguardano il tour e il disco. Quindi tutto sommato è un dolce turbamento.

Prendi qualcosa per dormire?
Sì prendo delle pastiglie gommose alla melatonina perché la notte non dormo.

Quante ore riesci a dormire?
Quattro o cinque ore massimo, nella fascia che va dalle quattro e mezza alle nove.

Una rockstar che si sveglia presto, insomma.
Sono sempre stato abbastanza regolare con la sveglia, ma poi adesso che devo portare Dobby (il suo cane ndr.) a fare due passi, sono ancora più preciso.

Ho visto che te lo sei tatuato sul braccio, dimmi un po’ di lui e del tuo rapporto con gli animali.
Quando ero nelle Marche avevo due pastori tedeschi: la madre e il cucciolo. Sono letteralmente cresciuto di pari passo con il cucciolo, fino ai diciassette anni. Poi una volta trasferitomi a Milano ho sentito la necessità di avere un cane che mi facesse compagnia visto che, tra Twitch e carriera musicale, il tempo lo passo prettamente in casa e dunque posso vivermelo molto e non lasciarlo solo.

Mai tatuarsi il nome di una ragazza, ma con un cane il rischio di essere tradito è basso.
(Ride, ndr.) In realtà lui mi ha già tradito. Sono molto triste ma lo sto accettando. È così poco che sta con me eppure ha già espresso un’altra preferenza.

Con chi ti tradisce?
Preferisce di gran lunga Simone (Panetty, ndr.). È innamorato perso.

Ovviamente Dobby per via di Harry Potter
Sì, sono mega fan. Se fosse stato un gatto, sarebbe stato Grattastinchi oppure Mrs Purr. ma siccome Dobby ha le orecchie penzoloni ed è grigio, non ho avuto dubbi su come lo avrei chiamato.

Sei stato generazionale Harry Potter?
Mi viene da ridere perché in quel periodo, in parallelo, usciva anche American Pie, che ho amato alla stessa maniera. Interessante passare da Harry a Stifler.

Due scuole leggermente diverse, Hogwarts e il liceo di American Pie. Comunque, ogni volta che ci sentiamo, finiamo per parlare di cinema.
Hai ragione, a tal proposito ho visto al cinema tempo fa Back to Black, il film su Amy Winehouse, a me è piaciuto molto.

Davvero? Io non ne ho sentito parlare benissimo, anche leggendo la nostra recensione l’impressione è che si potesse fare di più.
Non è un capolavoro, ma l’ho apprezzato molto più di quello su Bob Marley. Poi conoscevo già molto bene la storia e avevo visto il film precedente sulla sua vita (Amy, ndr.) che era più imparziale mentre Back to Black è più romanzato.

Sei un fan dei biopic?
Sì, mi fanno impazzire. Poi qui si parlava di Amy, club dei ventisette, vita dannata.

Tu sei uscito dal club dei ventisette?
Ma che uscito!? Io a luglio ne faccio ventisette, sono ancora in pericolo. Tu l’hai scampata?

Sì, io ne ho ventinove e la sto vivendo malissimo.
Paura di quel tre che arriva, eh? Eppure tutti dicono che dopo i trenta inizia il vero divertimento.

Mi pare una bugia bella e buona, lo scopriremo solo invecchiando. Cambiando discorso, prima mi parlavi di quando stavi nelle Marche.
La provincia ti insegna che nessuno ti regala qualcosa e che se non ti impegni, prendendoti cura di ogni aspetto del tuo lavoro – nel mio caso la musica – non succede assolutamente nulla. Per far succedere le cose serve una attenzione ed una energia incredibili, infatti credo che la fame e la voglia di emergere siano state le due componenti più forti ad avermi condotto poi nella carriera musicale. La parte oscura della provincia invece è che a volte ti sta stretta, soprattutto a sedici-diciassette anni. Purtroppo non sempre ce la si fa e tante grandi persone vengono risucchiate dalla provincia.

Cosa significa per te essere risucchiati dalla provincia?
Il “ma quanto si sta bene qua” può condurti a dei ritmi anti-contemporanei sui quali ti adagi. E poi gli step che la convenzione provinciale ti induce a perseguire: ossia famiglia prima possibile, un lavoro tranquillo, casa, macchina, fine.

Milano invece?
Milano ha anch’essa pro e contro. I pro credo siano abbastanza evidenti: tutto sta a Milano in termini di strutture, ma anche la possibilità di fare rete.

Torni spesso giù?
Personalmente mi piace tornare spesso nelle Marche anche se ormai è molto frenetico anche lì. Però casa è casa, e in qualche modo chi ha le radici piantate in provincia prima o poi tenderà a tornarci.

Quindi anche tu.
Se avrò una famiglia, voglio che i miei figli crescano nelle Marche.

Anch’io come te soffro molto l’allontanamento dagli spazi aperti e naturali, anche se solo per pochi giorni. Mi manca l’aria.
Dovresti vivere a Los Angeles, allora. Lì c’è un po’ tutto, le possibilità della città e la natura a due passi.

Ci sei stato di recente, vero?
Sì, due settimane fa è stata la mia prima volta. Ti dico, era un sogno per me – pensa che sei anni fa scrissi una canzone che si chiamava California senza esserci mai andato. Los Angeles mi è piaciuta molto più di New York forse anche perché io venendo da una zona marittima tendo ad amare più quel tipo di vibes che mi restituiscono le spiagge e le palme.

Sei stato al Whisky a Go Go?
È una di quelle tappe del rock che definirei immancabili. Poi è bello poter vivere un luogo immergendoti nella sua tradizione e nel suo tessuto culturale: ad esempio ho mangiato cibo spazzatura ad oltranza.

Parliamo un po’ di musica, ti va? Anche se a noi ormai piace più fare una chiacchiera sulla nostre cose extra lavorative, un po’ di musica è giusto parlarne.
Ma sì, perché no.

Non so se puoi raccontarmi le genesi di Berlino o se è troppo spinta.
(Ride ndr.) Non saprei come raccontartela edulcorata.

Eh, lo so: prova, in caso togliamo.
Vabbè, dai: in pratica era la prima volta che arrivavo a Berlino. Ero con Simone e dopo quattro ore dall’atterraggio ci hanno fermato e ci hanno arrestato. Poi appena usciti da lì, senza passare per casa, siamo andati diretti al Berghain per festeggiare. Ascoltando quella musica, in quel contesto così surreale data la natura di ciò che avevamo vissuto, ho pensato che sarebbe stato bello farci una canzone e soprattutto riuscire a metterci dentro le suggestioni sonore della musica elettronica berlinese.

E Gemitaiz, invece?
Gem
l’ho incontrato sempre a Berlino tempo dopo perché lui fa diverse serate lì come deejay e ama molto quella città. Ho pensato fosse un segno del destino e visto che ci conoscevamo già da un po’ ho provato a chiedergli di mettere la sua voce e la sua penna sul nostro brano.

Ti piaceva molto Gemitaiz da ragazzino, vero? Me lo raccontavi già in una delle nostre vecchie chiacchierate.
Gli ho pure aperto qualche data da piccolo. Pensa che ho una foto con lui che risale al 2015: avevo balzato scuola per andare a registrare al Bunkerino e ad un certo punto ho visto presentarsi Gemitaiz. Aver fatto un pezzo con lui è una sorta di chiusura del cerchio che rende orgoglioso me ma soprattutto il piccolo Diego adolescente.

Il sound è abbastanza nuovo rispetto al passato o sbaglio?
Sì, il disco che uscirà è molto vario e ricco di sperimentazione. Nel caso specifico di Berlino, il lavoro egregio è stato fatto sia dal mio produttore che da Greg (Willen ndr.) che ha spaccato.

Che poi se non ricordo male mi dicevi che il brano lo avete prodotto proprio a Berlino.
Sì, bravo: abbiamo preso uno studio lì e ha fatto un capolavoro come suo solito.

Che poi Berlino da sempre ispira grande arte – penso alla trilogia berlinese degli U2 con Eno e Lanois ma anche ovviamente a quella di Bowie. Vale anche per il cinema: penso soprattutto a Noi i ragazzi dello zoo di Berlino che tra l’altro ha la colonna sonora proprio del disco Heroes.
Che bello quel film, lo amo. E ti dico una cosa che non ho detto a nessuno: la cover di Berlino con lo scatto in bianco e nero e la banda gialla sopra è ispirata proprio alla locandina di Christiane F. Io mi diverto moltissimo a fare queste citazioni insieme a Jimmy il mio amico che si occupa delle grafiche.

Ma tu pensa, non ci avevo pensato. Beh, la mia chiamata era giusta allora.
Sì, incredibile che tu abbia citato proprio un film così importante per me.

Lo vedi, alla fine di musica non c’è verso di parlarne per più di cinque minuti. Ma ormai è una costante dei nostri dialoghi.
Di che parliamo la prossima volta?

Magari di musica, dai.
Ma sì, sarebbe un gesto punk.

Foto: Benedetta Minoliti
Digital Cover: Jadeite Studio
Coordinamento redazione: Emanuele Camilli
Ufficio stampa: MNcomm